Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

domenica 15 gennaio 2017

Grazie.

© 2017 weast productions / cortesia Sara Matasci. 

Ringrazio con molta riconoscenza la Fondazione Iside e Cesare Lavezzari e i suoi rappresentanti che oggi, al Cinema e Teatro di Chiasso, mi hanno accolto per consegnarmi il Premio massimo 2016. Ringrazio, altresì, il Comune di Chiasso per l'ospitalità, che recherò nella memoria.

Mi impegnerò a onorare questo riconoscimento nei miei prossimi viaggi e lavori. Grazie, con grande affetto, anche a tutte le persone che hanno partecipato all'evento e grazie, infinite, per le vostre domande e le vostre riflessioni. Il mondo non si racconta mai abbastanza. Siete voi a dare un senso al mio lavoro.

venerdì 13 gennaio 2017

Il senso del taccuino.

© 2017 weast productions / all rights reserved.
Domani nel Senso del taccuino su LaRegione: "L'intuizione della normalità". Qui di seguito il consueto estratto, con una fotografia (scattata a Mosul) che sul giornale sarà diversa e che anche qui non si riferisce alla bambina citata, la cui foto è stata pubblicata in precedenza sul Blog:

A Mosul, sulla prima linea del fronte, ti chiedi come sia possibile incontrare ancora dei civili decisi a restare. Osservi i bambini, perché nei loro occhi c'è qualcosa che negli occhi degli adulti non trovi. Inas ha sei anni. Non parla. Mi guarda e basta. Mi guarda e basta. Nel suo sguardo c'è il silenzio più assoluto, e c'è una profondità che attira. Ho paura di finirci dentro, ma non resisto, perché so che troverò qualcosa. Nel fondo che non finisce dello sguardo di questa bambina, scopro l'esperienza vissuta della normalità che caratterizza ogni agire dell'essere umano, che caratterizza anche le azioni di cui è vittima lei, e tutti gli altri ancora piccoli. Forse è da questo sguardo che imparano gli adulti, quelli che fuggono e quelli che restano, da questo sguardo capiscono che la guerra è normale, anzi è la cosa più normale che ci sia. Perché quest'altra bambina, che ho ora davanti, non sussulta al boato delle esplosioni o quando una mitragliatrice si mette a tossire, una tosse marcia che mette paura? Non è l'abitudine fatta, o il trauma psicologico che l'ha stordita. Non si spaventa, credo, perché ha capito: quanto sta succedendo attorno a lei è normale.

mercoledì 11 gennaio 2017

Dedicato anche a voi, che seguite il mio lavoro.

(c) 2017 weast productions all rights reserved / Inas, 6 anni, in fuga da Mosul.

Vi invito con immenso piacere, domenica 15 gennaio alle ore 11.00, alla cerimonia di consegna del Premio massimo 2016 della Fondazione Iside e Cesare Lavezzari presso il Cinema Teatro di Chiasso.

Per uno che fa il mio mestiere, questo riconoscimento è come avere accanto una persona che ti sussurra di andare avanti a raccontare il mondo. Lo sarà anche la vostra presenza, se avrete il tempo e il desiderio di esserci. 

Cercherò di meritarmi questo riconoscimento raccontando, con immagini inedite proiettate su un grande schermo e a parole, il mio viaggio dentro Mosul, e altri viaggi ancora, compiuti dentro la vita, quindi non sempre e non per forza dentro una guerra. 

Il premio Lavezzari ha molti destinatari, che vanno oltre la mia persona: lo dedico a chi mi ha raccontato e mi racconta la sua vita, a mia madre Gemma e a mio padre Plinio, ai miei colleghi e amici caduti per raccontare il mondo e a voi, che seguite il mio lavoro.


domenica 8 gennaio 2017

La guerra è quella.

(c) 2017 weast productions / all rights reserved.
La guerra è quella. Che ti chiede perché te ne sei andato e ti chiama. Ti richiama lì.

mercoledì 4 gennaio 2017

Buone notizie.

(c) 2017 weast productions / all rights reserved
Buone notizie. A 70 chilometri dal fronte di Mosul c'è chi passeggia liberamente. Anche: smemoratamente. Dando a ogni passo, tuttavia, il senso della resistenza. Sono in molti: ragazze e ragazzi che camminano su e giù per strade che hanno soltanto le vetrine dei negozi, i saloni di bellezza e le botteghe dei barbieri per illuminarle di sera. Fanno le vasche a Erbil, nel nord dell'Iraq. Convinti che la vita è tua, è loro. Erbil è una straordinaria enclave di tolleranza, per ora. Nel Senso del taccuino di sabato, sulla Regione, seguirà un'ulteriore lettura di questa immagine e di altro ancora.  

lunedì 2 gennaio 2017

Lo stupore della resistenza.

(c) 2017 weast productions / all rights reserved

A Mosul ti trovi di fronte a scene come questa. Un ragazzino handicappato che si dimena sul pavimento della stanza dove ha trovato rifugio, nella zona del quartiere di Intisar ora controllata dall'esercito iracheno.

Contro l'Isis si sta combattendo quella che definiremmo una "guerra giusta". L'Isis va sconfitto, non c'è dubbio, va distrutto. Ma questo auspicio non deve neutralizzare il nostro desiderio di capire: che cos'è, chi l'ha creato, chi lo sostiene, chi lo arma, chi lo dirige, a chi serve e a quale scopo?

La guerra, "giusta" o "sbagliata" che sia, è sempre la stessa: impossibile pensare che non faccia vittime fra i civili, che non li costringa alla fuga. È un dato di fatto. È un dato di fatto umano.

La guerra ci mette di fronte a quelli che siamo, ci costringe a misurare la nostra capacità di sopportazione, quella di vittime e quella di spettatori. La guerra ci mette una mano dentro la pancia e comincia a scavare. La guerra fa una paura terrificante, che pure riusciamo a superare, anche come testimoni, testardamente convinti che vada raccontata. Non cambia nulla, se la raccontiamo: andrà avanti comunque.

Eppure, in questo atto di trascurabile resistenza che il racconto incarna, c'è qualcosa che la guerra teme: teme di essere mostrata per quello che è. È un'enorme bugia, una menzogna spropositata che ci chiama, ci chiama, ci chiama. Ci chiama a credere che la carne, quando si rivolta, facendo a pezzi altra carne, che la carne semplicemente affamata di altra carne, di budella, di muscoli scoperti, di ossa bianche che luccicano al sole, di feci e di piscio sparsi sulla strada, finiti sui muri, di occhi che penzolano dai fili dell'elettricità, di pezzi di cranio spappolati sui parabrezza, di gambe a metà che hanno fatto una piroetta e sono cadute diritte, diritte come se fossero ancora intere, ci chiama a credere che non esista ormai più altro al di fuori di lei.

La guerra non ha nulla di disumano. È roba nostra. Ci piace, starci dentro.

Credo, sempre e ancora, che raccontarla così, senza trovare scuse, possa produrre, un giorno, lo stupore della resistenza. Non la resistenza del vogliamoci bene, che è un'altra menzogna senza fondo. Lo stupore della resistenza finalmente generata nei confronti di qualcosa che ci piace fare, per quanto ci terrifichi, e anzi che sappiamo fare. Lo stupore di chi mette gli occhi su un vuoto senza fine che inebria, e decide, però, di fare un passo indietro e voltarsi.

Una balla di dimensioni enormi, anche questa. Probabilmente.