Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 29 settembre 2016

È stato più che amore.

È stato più che amore. Fra di noi. Passione. Amore e passione. La certezza che nel momento del bisogno, c'eravamo. C'eri tu e c'ero io. Dicono che molte coppie dopo un po' di tempo non si parlano più. Noi abbiamo sempre, sempre parlato. Avevamo un mondo di cose da dirci. Anzi: ci scrivevamo. Per dirla fino in fondo: a scrivere ero io. Ci facevamo compagnia. C'era il rumore della rotellina, all'inizio,la tua meravigliosa rotellina che metteva il solletico alla mia mano, al mio corpo, soltanto a sentirla: grrrr, grrr, grrr. La toccavo e capivo che stavo facendo qualcosa di importante. Comunicavo.

E c'era la luce intermittente, che apriva e chiudeva gli occhi in alto a destra del tuo corpo: verde per dirmi "sono vivo". Rossa per dirmi "c'è posta per te". Che tempi. Meravigliosi. Negli aeroporti ti tenevano in mano tutti quelli che indossavano un cravatta, una camicia bianca o azzurra e un completo di quelli che si pagano. Io ero vestito da barbone. Eppure: ti avevo anch'io. Stavamo insieme. Ci volevamo un mondo di bene. Il nostro amore ha permesso che comunicassi per scritto da un'infinità di paesi sparsi in giro per il mondo. Mandavo email, quando le mail si mandavano da casa o dall'ufficio, mai in viaggio, mai in viaggio.

Un giorno, ti hanno tolto il luccichio degli occhi: niente più segnale intermittente in alto a destra. Quel giorno, ho capito che fra di noi stava finendo. Lentamente, come finiscono molte storie d'amore. Dolorosamente. Oggi, vado in giro per il mondo con un iPhone. E mi sento solo. Scatto delle fotografie che con te, prima, scusa ma te lo devo dire, non riuscivo a scattare: mancava la qualità. Però, la recuperavamo, insieme, passando da un'iconcina all'altra, che ci proiettava nel mondo della multimedialità, una parola che tanti, ancora, non riuscivano a capire. Quanti ricordi, amore. Amore mio. Ti ricordi quando sei finito a pezzi mentre io, correndo, varcavo il confine fra la Turchia e la Siria? O a Gaza? O in Georgia? In Kenya? In Libano? Anche in Iraq. Anche lì. Potrei continuare fino a domani.

La notizia che non ti metteranno nemmeno più al mondo, anzi, che hanno deciso di delegare il parto a qualcun altro (a chi?, a chi, perdio?), qualcun altro che ti metterà al mondo, ma chissà come, la notizia che in fondo è tutto finito mi riempie di tristezza, ma anche mi rinfranca. I grandi amori durano poco. Il nostro è stato uno di questi amori. Quante mie storie sono state trasmesse in televisione o scritte o mandate alla radio anche grazie a te. Grazie a te, BlackBerry. Che sono un sentimentale, lo sapevi. Lo sapevi, vero?




domenica 25 settembre 2016

Prima quelli di Aleppo.

(c) 2016 weast productions / ospedale improvvisato nella provincia di Deir ez-Zor (tutti i diritti riservati).

Se ce n'è mezzo. Mezzo essere umano. Se ce n'è mezzo che oggi trovi il tempo e la forza e la voglia di dire che le bombe su Aleppo si devono fermare. E lo faccia nella piena consapevolezza che, mentre lo dice, le bombe cadranno su altre città. E tuttavia lo dica, nonostante le altre bombe e le altre guerre. Si alzi, un mezzo politico o anche uno intero, se esiste, se esistono, si alzino oggi e nel commentare estasi o depressioni del dopovoto locale (sebbene io sia lontano, so che in Svizzera si è votato e che qualche risultato è scaturito) e abbia la forza e il coraggio di metterci dentro una frase, un inciso: "Fermate le bombe su Aleppo". Lo dico io, perdio. Lo dica anche lui, anche lei. Dillo tu, politico che "ci" rappresenti, oppure tu, politica che "ci" rappresenti. Che diventi pure, questa città, Aleppo, il simbolo di tutte le altre, martoriate e a pezzi, che lo diventi correndo il rischio del simbolo, che è un bel rischio, conoscendo, come conosciamo, la fragilità dei simboli. Eppure: che ne venga fuori uno, per quanto soddisfatto o invece a pezzi, uno fra tutti i politici, una fra tutte le donne politiche a riconoscere questa sera che la sola frase da dire è: "Prima quelli di Aleppo". Prima queste persone, che non sono venute a chiederci nulla. Che non ce l'hanno fatta o non hanno voluto. Che sono rimaste nella loro terra in frantumi. Nel sangue. Nel. Sangue.

Ho raccontato non so quante guerre e le racconto, ancora oggi, anche se non più su tutti i canali dove avevate la consuetudine di seguirmi. Mi aggrappo all'unico senso che il mio lavoro può ancora avere: quello di dire che cos'è la guerra. Che cosa significa essere in guerra. Che cosa significa, che cos'è essere sotto, sotto le bombe. Che cos'è quando cade una bomba. Com'è quando cade una bomba e tu sei lì. Come è? Ti cade sopra. E tu sei fra le macerie. Tu sei macerie. Carne a pezzi. Carne aperta. Calda.

Guardate le notizie di oggi, domenica. Guardate che cosa stanno facendo ad Aleppo. Chi pensa agli esseri umani che vivono in questa città? Chi li pensa? E, pensandoci, trasforma il suo pensiero in un atto di resistenza contro tutte le guerre in corso? Chi ci pensa? Rispondo io? Va bene. Ci pensano in molti. Più di quanti ci si possa immaginare. Tuttavia, le stanno soffocando, queste persone (e sono molte) che ci pensano. Stanno facendoci credere che importano altre cose. Che ci sono altre priorità. Ci sono sempre altre cose a cui pensare. Riusciamo a pensare soltanto a una cosa alla volta? Non credo.

La stampa? Dov'è la stampa? Al seguito è. Al seguito del vuoto. Del nulla. A cento all'ora al seguito. Persa, smarrita, incapace di un atto di resistenza, di un atto umano, indipendente, severo, credibile, ascoltabile, guardabile. Incapace di farsi rispettare. Incapace di non avere paura. Incapace di essere curiosa. E audace. Nonostante le maratone televisive serali per spiegare che non è vero, che la stampa c'è e che il mondo la riguarda. Sono tutte balle. Tutte quante. Ridicoli siparietti. Bugie infantili. Andava detto, una volta. E ridetto: bugie infantili. E siparietti. Possibile che non ci sia nessuno che abbia il coraggio (e il desiderio e, in fondo, la spregiudicatezza) di raccontare il mondo, per come va davvero? C'è, probabilmente. Ma è a cuccia. Strafatto di dormicum.

Siano, invece, fra i primi, e ancora più dei primi, gli abitanti di Aleppo. Che inizino, domani, lunedì, le lezioni di scuola, di tutte le "nostre" scuole, con una riflessione su Aleppo. Che inizino, domani, tutte le riunioni di redazione, di consiglio di amministrazione, di direzione e di che cosa so io, con una riflessione su Aleppo.

Non serve a nulla? E chi lo dice? Provateci. Il pensiero è consapevolezza. E la consapevolezza è un atto di resistenza. Resistenza nei confronti dell'idea che il mondo va così e continuerà ad andare così. Non è vero. Può cambiare, il mondo. Possiamo ancora cambiarlo, anche se ci troviamo costretti a concludere che non siamo serviti a nulla. Noi giornalisti, ad esempio. Io, ad esempio. Servito a nulla. Lo ammetto. Ma: il mondo può ancora cambiare.

Chiedo, a me stesso in primis e poi a tutti voi, a me stesso quale atto di rispetto da generare nei confronti dei morti e delle vittime di guerra che ho raccontato, e chiedo a voi quale atto di rispetto nei confronti di tutti i morti e delle vittime di cui avete sentito raccontare, che prima dei nostri vengano, per una volta, se non è chiedere troppo, quelli di Aleppo. Almeno oggi. E domani. E se tenete duro, anche dopo. Dopodomani.  

Foto. Grammi.




(c) 2016 weast productions / vietata la riproduzione.

sabato 24 settembre 2016

L'applauso silenzioso del barista.

(c) 2016 weast productions / tutti i diritti riservati di testo e immagine.

Non c'è come un autoscatto. Per sentirti viva. Dentro l'immensa complicazione della vita, torni a casa con quel pezzo di carta e sopra quattro scatti. Uno sfizio, lo hai chiamato. Dieci franchi buttati via, hai detto. Sicura? Sei sicura? Non ci pensi nemmeno a rispondere: hai deciso che per come va la vita un giro prima di rientrare te lo fai. Non sia mai una donna sola al bar davanti a un Martini (e metti pure due, fai tre, va', tre e poi nanna) a destare scandalo. "Non per come sono messa" concludi, infine ringraziando l'idea che hai avuto di farti due scatti e osservandoli. Con il vento che gioca. E alza il sipario sulla cabina, sulla tua vita. Te lo sei già meritata (eccome) l'applauso silenzioso del barista, che verrà più tardi. E forse non soltanto suo. 

venerdì 23 settembre 2016

Il senso del taccuino.

© 2016 weast productions / bambino nella provincia di Deir ez-Zor (Siria)

Dopo la pausa estiva torna, domani, sabato, Il senso del taccuino sulla Regione. Titolo. A che cosa siamo serviti?

Qui di seguito la consueta anticipazione:


Escono voci. E poi. Dai condomini. E. Poi. Dai buchi. Escono. Come una maledetta poesia. Escono voci dai buchi. Epitaffi. Come. Se ci fosse. Come. Se ci fosse. Il tempo. Bomba. E bo. Mba. E bomba. Guarda Aleppo. Fosse soltanto Aleppo. A che cosa siamo serviti? A nulla. Corre. E ricorre. Corre voce fra le voci marce ormai, venute fuori attraverso denti marci ormai, che oggi qualcuno ci lascia la pelle, di nuovo. Cosa vuoi che sia? Cosa vuoi che cambi, che conti? E: a che cosa siamo serviti? Guarda Bagdad. A nulla, siamo serviti. Quando un proiettile colpisce il volto di una donna, se non la conoscevi o se non sai che era una donna, non riesci a fare la differenza fra la sua faccia e quella spappolata di un uomo. Tiri a indovinare. Se la testa è ancora attaccata al corpo (perché insieme al proiettile potrebbe essere arrivato anche un bel mortaio) osservi i vestiti, le mani. Guarda Kabul. A che cosa siamo serviti? Guarda questa ragazza. Guardala fino a non poterne più. Guardala. Guardala. È morta. È ancora calda. Morta e ancora calda. Scalza. Ocristo. È scalza. È finita sulla strada. Sulla pancia. Eppure i suoi piedi sono girati verso il cielo. Com'è possibile? Guardala. Guardala. Fino a stare male. Guardala e scrivila. Guardala e fotografala. Guardala e filmala. Guardala. A che cosa siamo serviti? A nulla. 

sabato 17 settembre 2016

Se trovo la penna.


(c) 2016 weast productions

Non il 17, non oggi, sabato, perché sono superstizioso. Il 24 settembre, invece. Si ricomincia il 24 settembre con Il senso del taccuino sulla Regione. Ci ho ripensato.

Si ricomincia per raccontare la vita. A partire da quella che sta a due millimetri dalla nostra. Straordinaria, come tutte le altre vite. Basta guardarla e ascoltarla. Tre scatti che raccontano. L'inizio è questo:

Hai voglia essere innamorata. Hai voglia dirglielo. O magari anche soltanto fare finta. E quando glielo dici ti senti un'attrice. Una comparsa dentro la tua vita. Glielo dici e capisci che è una fionda che ti strappa alla solitudine. Ti scaraventa chissà dove. L'importante è: lontano. Come una lavanda gastrica ti toglie dallo stomaco e poi da tutto il resto, da tutto il resto del tuo organismo, quello che non avresti dovuto bere. O mandare giù. Comunque sia: mandare giù. E invece, invece, lo hai. Invece lo hai. Mandato. E giù. Serve un bel po' di coerenza per farsi a pezzi. O anche soltanto per lasciarsi fare. Fare a pezzi. Fare. E basta. E a pezzi. Farsi fare a pezzi. Una cellula dopo l'altra. 
Bastasse essere vivi per sentirsi vivi sarebbe un affare. 

Il resto ve lo immaginate da qui a sabato. Che poi lo scrivo. Se trovo la penna. Oooooh, se la trovo.




venerdì 9 settembre 2016

Una storia grande.

Che ti fai una risata. Anche mezza. O anche mezza birra. Tanto per cominciare. Per darci dentro. Che va giù che va giù che va giù. Che va. Oddio se va. E se va giù. Oddiosevaggiù.



(c) 2016 weast productions

Non c’è come la notte per aprire gli occhi.

Non c’è come una birra.

Non c’è come la notte per sentirsi stronzo. O perdutamente innamorato. Di un serio che mette quasi paura.

(c) 2016 weast productions

Non c’è come una Schweppes. Per sentirsi un pirla. Pirla e di un solo. Di un solo che l’ultimo è messo meglio.

Gli ultimi saranno i primi. Dacci dentro con le consolazioni. Io consolo, tu consoli, lui consola, lei consola.

Non c’è come la notte.  Per essere veri. Forse, per esseri veri. Vedere che ci azzecchi, per una volta?

(c) 2016 weast productions

Se è una storia, è una botta. Una storia grande.

Dal 17 settembre cominciamo a raccontarla.

Giura.

Giuro.  

Altrimenti, chi vi racconta?

(È vietata la riproduzione e il linking senza esplicita autorizzazione dell'autore).

sabato 3 settembre 2016

In guerra non puoi essere.

(c) 2016 weast productions / gianluca grossi (tutti i diritti riservati, riproduzione o linking non autorizzati).

Deir ez-Zor (Siria): Due sorelle in una scuola bombardata. 

La guerra è una cosa seria. Se la conosci davvero non la eviti: ci vai dentro. Fino a cancellarti. In guerra, non puoi essere. In guerra sono gli altri.                                                                                                             

(Tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione e vietato il linking, inclusa fotografia). 

Col respiro pieno di domande.

Nei tuoi occhi la meravigliosa (per te) indecifrabilità del mondo. Anche per me. Se posso mettermi nella fotografia. Davanti, si capisce. E invisibile. Si fa, come si fanno tante cose nella vita, per dire. Col respiro pieno di domande.

(c) 2016 weast productions / vietata la riproduzione di testo e immagine.

Non c'è come.

(c) 2016 weast productions

Non c'è come scriverti sul lungofiume di Francoforte. E consegnarti al destino, fulgido, delle gru. Sentinelle di fronte al futuro invisibile.

Non c'è come consegnarti al mare, nel porto di Amburgo, e augurarti che il cargo porti a buon fine quello che hai nella pancia. E ti culli. E anche quello che hai nella testa. Che ti fa impazzire. Quasi. Un presentimento, forse. Non c'è come.

Non c'è come invitarti a SpazioReale, il 15 settembre, per scoprire come è messo il mondo. E tu. E tu. E tu. E. Tu.

(c) 2016 SpazioReale / Enri Canaj

Non è mai come te lo raccontano, il mondo. Come vorrebbero che fosse. Questi e quelli.

Capirlo è un mestiere. Il mestiere di fotoreporter, per farti un esempio.

SpazioReale, che questo mestiere lo ospita e lo difende e lo porta avanti e ne fa una "ragione di vita", ti aspetta.

15 settembre, alle ore 18.30.


(È vietata la riproduzione di testo e foto, protetti da copyright).