Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 4 agosto 2016

Sorella che vai di fretta.

Sorella. Che vai di fretta. Toglimi di dosso, se puoi, l'ira del mondo. E l'ira di Dio. Che dovresti saperne qualcosa. Sorella, che nello scatto sei fra due distratti. Fra due annoiati. Che non vedono l'ora di andare a letto uno girato a destra e l'altra girata a sinistra. Fa' che si girino, nel sonno, e si rigirino, e si stragirino svegliandosi. Che si trovino, ormai svegli o nel dormiveglia. Fa' che si facciano a pezzi, questa notte. Nel senso buono. Se posso aggiungere, senza che arrossisca nessuno, fa' che ritrovino la voglia di quando... Di quanto? Diciamo di un vent'anni fa? Fa' che.

Fa' che siano a fuoco le mie immagini. La chitarra del vecchio. L'attesa di un ragazza. La fretta di un'altra. La sospensione di un volto dietro il finestrino. L'indecisione della bandiera nel supermercato. La infinita stanchezza di uno senza casa, con una panchina e basta, e che a volte basta e avanza. La voracità dello sguardo davanti a una (peraltro modesta) distesa di riviste.

L'assenza che non fa che marcare presenza. Dentro di te. Che è un po' come dire. Come dire? Come dire e punto. Potrebbe, in fondo, bastare. E basta.

Fa' che, in fine, rimanga, nel nostro essere finiti a pezzi, come un faro remoto (o anche meno, anche più tenue, meno visibile: andrebbe anche meno visibile, diciamo: come da un faro sfocato) la resistenza capace di tenere lontani quelli che vorrebbero raccoglierli.











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