Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

sabato 2 aprile 2016

Due, che si baciano.

(c) 2015 weast productions

Due, che si baciano dentro la città. Con la lingua che sa di zenzero. E di menta. E, quella di lui, per essere onesti onesti, anche un po' di cipolla. Seppure lontanamente. Come un ricordo. Un ricordo di cipolla va bene, lo scambieresti per del cumino, con uno straccio di fantasia, che non guasta mai. 

Per lei è cumino, per lei che di fantasia ne ha da vendere e ora è già altrove, e chissà quale, quale altrove. Stringimi, stringimi bastardo, portami via da questa città che è grande, troppo grande, e non ha più voglia di vivere. Ti prego: solleva la mia ombra e fanne la mongolfiera invincibile che adorerei essere (ossìadorerei). 

Fai di me la donna cannone senza peso, la grassona che ha preso il volo, trasforma le mie quattro ossa in una benedizione del cielo e gonfiale, con tutto il fiato che mi pompi in gola, gonfiale fino a involarle che nemmeno, vedi, che nemmeno, vedi, che nemmeno la torre di controllo potrebbe ordinarci di non decollare. E poi: are, are, are. Che bello: are. Mi sembra che sia questo che tu, baciandomi, mi stai dicendo, giù per la gola. Circolare. Circolare? Che sia? Che sia questa, la parola? Circolare? 

Che circolino i povericristi, che circolino le ombre senza nome e senza paese, che circolino quelle figure, queste figure, infilate dentro pezzi di stoffa regalati (mi piace, di nuovo, il ritorno, la memoria della parola che ritorna: ati, ati, ati), regalati da una pietà che è soltanto furbizia del superfluo. Di chi ha troppo. Le ombre che ora ci sfiorano e qualcuna mi tocca, per poco, per poco, per poco mi tocca, ma vedi è più, vedi, è più, vedi è più un rintocco. Un rintocco di vita. Le ombre che ora sfiorano me e sfiorano te che ancora mi baci, che ancora mi stai baciando e ci sfiora anche quell'imbecille che se non mi sbaglio ci sta facendo una fotografia che tanto verrà mossa, verrà sfocata e mi auguro anche che verrà scura. Così non ci riconosce nessuno. Anche se poi, per finire, e per finirla, mi andrebbe di essere riconosciuta, nelle tue braccia, strapresa come sono di te, strapresa di voglia di andarmene via. 

La stessa voglia che hanno quelle ombre, queste ombre, senza nome, senza vita, senza nessuno che le prenda per buone. Queste facce. Facce facce. Queste facce da profughi. Come, vedi, come. Vedi. Come la mia. Con la stessa voglia di andarmene. E sia pure appesa alle tue labbra. Per ora. Tuttavia: di andarmene. Via. E che sia. Sia. Che sia nuova vita.


(Il 12 aprile è fra dieci giorni. Chiamiamola: ouverture. Anche se, forse, non c'entra nulla. Forse).   

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