Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 20 novembre 2015

Il senso del taccuino.


Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Come spiegarti tante cose?". In versione inedita. Qui di seguito il (brevissimo: ho rinunciato alle parole, a tante parole) estratto, di un testo scritto per una piccola profuga siriana, con la memoria rivolta ai morti di Parigi e di Bamako, e a tutti gli altri morti dentro le guerre che si stanno consumando. In Siria. In Iraq. In Nigeria. Ovunque.  Davanti ai nostri occhi. Ai nostri occhi. Rivendicando così il coraggio del pensiero e del ragionamento. E il diritto (il dovere) al coraggio di continuare a pensare. A chiedere e richiedere. A fare domande e a scavare nella realtà. E nella vita. Senza paura. Perché la paura fa comodo. Fa comodo a tutti. Diciamo pure a troppi.

Come spiegarti l'essere umano, Rita? Ciò di cui è capace? E, ancora più, incapace? Come spiegarti la religione, il fanatismo, l'odio, l'ignoranza, l'intolleranza? Come spiegarti il coraggio, il coraggio vero, che sta tutto nel pensiero e nel ragionamento. E la guerra, come spiegartela? Tutto quello che c'è dietro. E quelli che la usano. Quelli che gli fa comodo, che ci guadagnano, in ogni senso. Quelli che ci cascano. Quelli che si porta via. Tutte le maschere che sa mettersi. I sotterfugi che s'immagina. Le pedine che muove. E i fessi, i fessi, i fessi che li prendono per buoni. Come spiegarti la guerra? Puoi raccontarla, e raccontarla. Non finisce mai. È maledetta e scaltra. Se soltanto non ci fosse. Se soltanto non ci fossero nemmeno le parole. Nemmeno. Le. Parole.  

sabato 14 novembre 2015

Ragionare. Senza paura.



Il disorientamento è uno degli obiettivi ai quali mirano i terroristi. O gli atti di guerra per interposta persona, le operazioni affidate ai freelance della violenza, agli assassini prezzolati, convinti tuttavia di battersi per una causa, o una idea, o, nel caso di quello islamico, per uno "Stato". Parigi, ieri sera. E oggi, a meno di 24 ore. Parigi è ovunque, in Europa.

Il disorientamento è contagioso, e, come l'onda lunga di uno scossone tellurico, giunge fino a noi. Sarebbe per il momento presuntuoso e dannoso fornire risposte personali. Meglio, credo, suggerire qualche lettura, che resta tuttavia personale. E che quindi come tale va presa. Pur nella sua verificata tenuta oggettiva, sul terreno e fra le pagine dei libri e delle riviste.


      • Michael Weiss e Hassan Hassan: ISIS. Inside The Army Of Terror. Regan Arts, New York, 2015.
      • E questo articolo, comparso sulla London Review Of Books, cliccando QUI.
      • Patrick Cockburn, Too Weak, Too Strong, nella London Review Of Books, volume 37, numero 21, 5 novembre 2015, rintracciabile su internet.
      • Il discorso dell'intellettuale e scrittore tedesco di origini iraniane Navid Kermani tenuto nella Paulskirche di Francoforte sul Meno in occasione del conferimento del Friedenspreis, pubblicato nella Frankfurter Allgemeine Zeitung il 19.10.2015.
        Titolo: Jacques Mourad und die Liebe in Syrien.
      • Il reportage di Roger Cohen sul New York Times da Sanly Urfa (Turchia) relativamente alla decapitazione di un attivista siriano anti ISIS in territorio turco (decapitato anche un suo collega), rintracciabile mettendo in Google gli elementi sopra indicati e con il titolo Turkey’s Troubling ISIS Game.

Da parte mia, posso contribuire a questo: in una intervista con una ex attivista della rivoluzione siriana (inizialmente pacifica, ma presto tradita dall'Occidente e, come anticipabile, oltre che dal governo siriano stesso dalle Monarchie del Golfo, tutto fuorché rivoluzionarie in senso libertario), realizzata nel novembre di una anno fa e trasmessa in un reportage di RSI, mi era stato detto che in Europa erano/sono presenti individui provenienti dalla Siria e pronti a colpire “chi parla male dello Stato islamico” oppure “altri obiettivi individuati a piacimento”. Suona, oggi, come una profezia caduta nel vuoto. Cliccare QUI.

Questa mattina, su Radio 3i, che prontamente e con responsabile spirito giornalistico si è messa sulla notizia delle stragi di Parigi, ho detto che l'ISIS può essere sconfitto. A condizione di esercitare un atto di coraggio, anche del pensiero (e soprattutto del pensiero), teso a individuare i “padroni” di questi volontari del terrore. Aggiungo qui, non avendo problemi di spazio, che si tratterà anche e soprattutto di lavorare sul fronte interno, in primis in Francia, ma non soltanto. Si tratterà, cioè, di sottrarre centinaia (meglio: migliaia) di giovani alla sfera di mortifera e mortale attrazione esercitata dalla pseudoideologia dell'ISIS. È un atto di coraggio resistere e non avere paura. È altresì un atto di coraggio chiederci se i bombardamenti aerei porteranno, da soli e per davvero, alla soluzione da tutti auspicata. Essi soltanto.

Per sconfiggere l'ISIS avremo bisogno anche della comunità musulmana, presente in ogni Paese europeo. È impossibile condannare soltanto, dichiarando che “questo non è l'Islam”, che non è mai colpa dell'Islam. Questo è, oggi, l'Islam, perlomeno una forma di Islam, un pensiero religioso che starebbe vivendo, per citare Navid Kermani, “den vorläufigen Endpunkt eines langen Niedergangs, eines Niedergangs auch und gerade des religiösen Denkens”; un pensiero religioso (sunnita) in declino (la violenza è spesso sintomo di debolezza) esposto tuttavia, ma non nel senso di una giustificazione addotta, anche alle manipolazioni di Stati interessati (all'esito della guerra in Siria, al partito preso dei governi europei et occidentali in genere, agli interessi degli Stati della regione, ecc.) e dei loro - loro ancorati in Medio Oriente e aree limitrofe - servizi “segreti”. Il terrorismo è il braccio lungo dei “servizi segreti”. Lo è sempre stato.

È impossibile chiedere a dei non Musulmani un recupero del pensiero religioso musulmano nel senso esposto da Kermani, il salvataggio di questo pensiero, oppure una rivoluzione interna, una Riforma di tale pensiero. Soltanto i musulmani che vivono fra di noi possono affrontare questa sfida, integrando, nell'operazione, i profughi che anche dall'ISIS (eppure dalle bombe del governo siriano + alleati + colazione occidentale) fuggono dirigendosi verso l'Europa. Ciò facendo, ci aiuterebbero (devono aiutarci) a disinnescare la terrificante attrazione che ISIS esercita sui giovani (certo non su tutti, ma ne bastano pochi): devono, per fare questo, immergersi nelle società nelle quali vivono, diventarne protagonisti partecipi. Osare. Assumersi la responsabilità di chi contribuisce a dare una forma positiva alla convivenza. Essere protagonisti con i fatti: non con le dichiarazioni, non con con le parole. Servono, le parole, almeno quanto servono le portaerei e i bombardieri in Siria e in Iraq, in funzione anti ISIS: a ben poco. Se non a nulla. Serve, invece, un concertato impegno ispirato a ideali civili. Un impegno (ripeto: concertato, nelle società postmoderne, plurietniche e multiconfessionali) che abbia per obiettivo il rispetto degli individui, prima ancora – prima ancora – che delle loro convinzioni religiose, per quanto morigerate e tolleranti esse possano essere. Il giorno in cui questa volontà da parte delle comunità musulmane si manifestasse chiaramente, sarebbe colpevole la società a negare loro un ruolo di edificazione comune. Un tale disegno richiede alla società, beninteso, uno sforzo di auscultazione di ciascun segnale destinato a imboccare questa strada. Trascurare i segnali o ignorarli in funzione di un compiacimento di correnti politiche e societarie e, ancora, comunitarie o comunitaristiche, ci trasformerebbe in complici della nostra sfortuna. Della quale faremmo volentieri a meno.

Il coraggio, che dobbiamo manifestare dopo i fatti di Parigi, sta nel non avere paura per l'essere come siamo e per credere in ciò in cui crediamo. Non avere paura nel sondare le ragioni e il senso delle nostre azioni. Nel continuare a chiedere ai nostri Governi che ci rendano democraticamente conto delle loro azioni. Non avere paura di chiedere, anche e profilatamente, ai musulmani che vivono fra di noi e con noi di farsi attori di una visione comune. Una visione che si nutra di rispetto reciproco, della disponibilità all'autocritica, intesa in senso costruttivo, e soprattutto si nutra della volontà di sostituire alla violenza il potere del pensiero e del regionamento. Di sostituire questo pensiero e questo ragionamento anche alla violenza che noi produciamo, e che senza (spesso) spirito critico accettiamo, distrattamente, che senza domande tolleriamo, ciecamente scambiandola, tale violenza, per la soluzione a mali comunque destinati a restare lontani. Oggi non esistono più mali lontani. Ci riguardano tutti. Tutti quanti. Tutti quanti i mali. E tutti quanti noi. 

Prendetelo per un ragionamento a meno di 24 ore dai fatti di Parigi. Come lo spunto per continuare a ragionare. Senza paura. Senza paura. 

Il dolore e il coraggio.

Profondo dolore; e partecipazione ai lutti di Parigi. Colpita al cuore dal terrorismo. L'incredulità e la paura, anche la rabbia e non soltanto nei francesi, questa mattina. Un atto di terrificante violenza che investe tutti gli europei. Obiettivo degli assassini terroristi: scardinare la nostra quotidianità, precipitarci nell'incubo, portarci la guerra. Il nostro compito: reagire con coraggio, con coraggio. E con la determinazione del pensiero e del ragionamento. 

giovedì 12 novembre 2015

Stai al mondo: e lascia stare.

Stare al mondo. Che è già tanto. Come la ragazzina, qui sotto, con la donna che si china su di lei e le tira la giacca, per capire se è ancora viva; oppure la vecchia, più sotto ancora, che si chiede come mai è ancora viva.

Per la cronaca: siriane, entrambe. 

O come concedersi una risata. Di quelle che vengono fuori uguali a una colonna sonora. Chiedersi da che parte stare. Dici: sto dalla parte dei morti. Bella fatica: non sbagli mai. Stare dalla parte dei vivi è la fregatura. Da che parte? Quali vivi? Stare dalla parte di quali vivi? Quelli che si spostano soltanto per andare in vacanza? Quelli che si spostano perché stacci tu al posto nostro? Quelli che si spostano e faranno casino? Stare al mondo. Che è già un lavoro di suo. E venirne fuori con una risata che sorprende tutti: una volta tanto, nella vita. Una risata che spazza via tutto. E prima di tutti te, che scrivi e scrivi e riscrivi. E-r-i-s-c-r-i-v-i. 

E: diossanto, ma cosa fai? Ti metti a ridere? Anche tu? Anche. Tu? Proprio. Tu? Impara a stare al mondo. Sì, ma mi viene da ridere, che quanti anni sono che siamo messi così, quanti? Quanti anni? Quanti anni che c'è gente per terra? Gente a pezzi? E se mi mettessi a ridere? Non di loro, vedi, non di loro. Di loro non rido. Rido di quelli che se ne fottono. Ecco: ridere di quelli che se ne fottono. Se si può dire. Se si può dire "che se ne fottono". Si può dire? Bene. Si può dire. Il problema è che non si può dire "quelli". "Quelli" non si può dire. "Quelli" non si possono dire. Nominare, nemmeno: lascia stare. E: "quelli" non sono "quelli" che pensi. Sono altri. Altri ancora. Hai voglia cercarli. Trovarli. 

Stai al mondo e lascia stare.



(c) 2015 weast productions

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sabato 7 novembre 2015

La tua vita.

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Dove. Dove vai a mettere la tua vita. Come se non contasse niente, per la nostra. Dove va a finire. Dove. La tua. Dove a finire la tua vita.

Come se valesse nulla. Per la nostra. Vita. Per la nostra vita. E si capisce. Dove va a finire la tua vita nella tensione che genera, che immette: che butta dentro - che butta dentro -  il nostro essere al mondo. E infine: punto interrogativo.

(Uguale alla boccata d'aria di uno che stava sotto l'acqua).

Dove va a finire la tua vita che è la nostra? O poco ci manca. O poco ci manchi. Ci sfiori. Per poco ci sfiori. Come una pallottola.

Dove va la tua vita incollata al nostro essere al mondo. Al tuo essere al mondo. Ai binari che ti portano. Alle due donne . alle. due. donne. Incollata. Che sono lontane. Così lontane da quello che chiamano casa. E, per farla finita, da quello che chiamano vita. Per farla finita. Dove. Dove vai a mettere. La tua vita. 

venerdì 6 novembre 2015

Il senso del taccuino.

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Domani, sabato, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Una profonda solitudine". Qui di seguito, l'estratto. Il solito estratto:

La vita ci pone di fronte alla possibilità di osservarla. Non soltanto di viverla. Esistono situazioni, o meglio: condizioni che producono un significato che va oltre la circostanza del loro accadere. Questo significato si rivela timidamente nella descrizione che diamo di tali condizioni. Esce con forza, tuttavia, soltanto se accettiamo di chiederci: che cosa significano per la nostra esistenza individuale, per l'esperienza che noi compiamo della vita? In una cronaca dell'estate, realizzata lungo la via dei Balcani in mezzo ai profughi, mi ero chiesto da che cosa fosse generata la sensazione di dipendenza provata nei confronti di queste persone in cammino. Da dove provenisse, cioè, il desiderio di tornare, ancora e di nuovo, sui luoghi degli sbarchi e al percorso compiuto da questi individui. Di seguirli, osservarli, ascoltarli. La risposta sta nel significato che la vita di queste persone ha per la nostra vita, nel significato che esse (e la loro vita) manifestano non appena entrano in contatto con noi (e la nostra vita). Questo contatto innesca la consapevolezza di quanto a noi familiari siano le situazioni e le condizioni che affrontano.  

mercoledì 4 novembre 2015

Che si spaccano le parole.

Che va così. Che va così. Per come va la vita. Che va. Così. La vecchietta con le rose cinesi. La vecchietta senza rose cinesi, piegata in due se rende l'idea, piegata in due. Se rende l'idea. E ora due punti: bambini in mezzo alla strada, in mezzo a quello che li aspetta, in mezzo a quello che dovrebbero invece essere in mezzo, in mezzo alla vita ma quale, dai che si spacca anche la lingua, che si spaccano le parole, e tutto questo scriverci dietro, e scriverci attorno, e scriverci sopra. Che si spaccano le lettere, una dopo l'altra, a parlare di Siria. Una lettera dopo l'altra. La a e la b e fino a dove arrivi. La z, metti. Metti la z. Mettila dentro una grande città, dove questa gente è finita, a due passi, a due passi, a due passi dalla loro terra. E dici: terra. E dici. E si fa: si fa per dire. Pensa, soltanto, a tutti quelli che qui (che qui da noi) non arrivano. Alla vita che fanno. Alla. Pensa alla guerra. Se ti risulta. Se. Ti. Risulta.

Fortuna, una volta tanto, che ci sono le immagini. Le immagini. Almeno quelle.

Per quel poco che valgono. Per quel poco che fanno vedere. Che fanno vedere. Per quel poco che fanno.

(c) 2015 weast productions
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