Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 4 giugno 2015

Immagini che ci guardano.

A richiesta, qui di seguito il testo del mio intervento all'inaugurazione di World Press Photo a SpazioReale (senza correzioni).

© 2015 weast productions / Giorgia Bazzuri
Siamo partiti dal Resto della vita, nel 2012, per successivamente incontrare i giovani fotografi afgani, e poi gli scatti di Andy Rocchelli. Nel 2013 ci siamo detti che World Press Photo avrebbe portato altri, nuovi sguardi sul mondo e siamo così diventati parte di questa grande famiglia, inserendo SpazioReale nel circuito che ospita, una volta all'anno, questa prestigiosa esposizione. Ci siamo, non senza sorriderne, inchinati al DIO del pallonee dei Mondiali, l'anno scorso, riproponendoci di tornare a mostrarvi World Press Photo quest'anno. Abbiamo mantenuto la promessa.


Nel frattempo SpazioReale ha lanciato una collana di fotogiornalismo, edita insieme a SalvioniEdizioni, che ha conosciuto un lusinghiero successo, anche al di là dei nostri confini. Abbiamo ospitato, in una proiezione all'aperto, il fotografo Giles Duley: le sue immagini e le sue parole hanno lasciato un segno indelebile in tutti noi. Il 18 giugno, organizzeremo un nuovo EventoReale, di cui vi parlerò successivamente.

Ecco, come è consuetudine fra amici, abbiamo fatto il punto della situazione, spiegato le novità, riassunto ciò che si è fatto dall'ultima volta in cui ci si è inconotrati.

L'esposizione che questa sera insieme inauguriamo ci consente di compiere un giro del mondo, uno dei possibili. È un viaggio dentro la realtà, di cui evidenzia lo scorrere inarrestabile e, soprattutto, se mi è concesso, anche in questa occasione, assecondare un pallino personale per suggerire una possibile interpretazione, un viaggio che rivela la contemporaneità dell'accadere del reale, del farsi della realtà, del suo essere realtà.

Troverete, confrontandovi con le fotografie che ci stanno aspettando nelle sale sotterranee, immagini di guerra, di violenza, di prevaricazione sociale, di ingiustizia e ingiustizie, ma anche fotografie che mostrano la meraviglia e la straordinaria complessità della natura, momenti in cui lo sport diventa racconto epico e riesce a dirci qualcosa che riguarda non soltanto una palla, più o meno grande a seconda della disciplina, o un risultato, più o meno eccezionale a seconda dei metri percorsi o dei metri raggiunti spiccando un salto, ma che riguarda la vita; troverete immagini del mondo animale, una, ad esempio, che mostra uno scimpanzé allungato sul lettino di un veterinario in attesa di essere visitato; e troverete lo sguardo terrorizzato di una scimietta da circo che attende di capire se il suo padrone la prenderà a frustate o la chiuderà dentro una gabbia.

World Press Photo è questo, ai miei occhi: la manifestazione del mondo nella contemporaneità del suo accadere e in fondo anche l'illustrazione di come la natura, colta nel suo splendore e nella sua complicatezza, sia indifferente al dolore che esseri umani infliggono ad altri esseri umani, e si sappia vendicare, seminando la morte, quando l'essere umano coinvolge anche lei, la natura, nel suo gioco al massacro, inquinandola e sfigurandola.

C'è, in World Press Photo, tutto questo.

Rifiuto, da sempre, l'idea che siamo diventati indifferenti a come va il mondo, alla bellezza e all'orrore, al dolore e alla gioia, all'allegria. Sono, queste, scuse accampate da chi il mondo dovrebbe raccontarlo per mestiere e questo mestiere, invece, lo tradisce. Per superficialità, per comodo, per tornaconto, per complicità con il potere e i poteri stende, attraverso questa scusa, un velo censorio sulla realtà.

Non siamo, tuttavia, degli sprovveduti, e intravvisto l'inganno, sappiamo, ad esempio sapete, partecipando a questa inaugurazione, manifestare il desiderio di guardarlo, questo mondo, di trovarsela davanti, la realtà. Davanti a una fotografia siamo, anche, davanti a noi stessi. Ciascuno farà le proprie riflessioni e tirerà le proprie conclusioni.

Siamo tutti in fila per un racconto. Il racconto del mondo. Degli altri. Della vita degli altri. Alla ricerca, probabilmente, delle spiegazioni che non troviamo: perché ci facciamo le guerre, perché uccidiamo, perché rincorriamo un pallone su un prato verde, invece di farci una merenda, perché distruggiamo la natura, e perché siamo capaci di sacrificio, per salvare una vita a un essere umano o per allungarla a un essere animale? Perché?

Succede tutto contemporaneamente. Chi nasce e chi muore. Chi parte in viaggio e chi è fermo da sempre. Chi uccide e chi, invece, salva la vita a qualcuno. Chi è ucciso e chi invece ha salva la vita.

In questo istante, in Siria, dove si combatte una guerra, qualcuno, sicuramente, è colpito da una pallottola o fatto a pezzi da una bomba; in Iraq è lo stesso; le ragazze prigioniere di Boko Haram a cosa staranno pensando? E l'ISIS, quali piani starà mettendo a punto. C'è chi, in questo istante, da qualche parte nel mondo, si sta innamorando, a Lugano qualcuno si sta amando, a Londra un uomo e una donna si stanno lasciando, a Beirut c'è chi perde il lavoro, a Zurigo chi ottiene un aumento di salario, ad Atene c'è chi finisce a dormire sotto un ponte, altrove ancora c'è chi decide di cambiare vita, chi inizia a bere o si giura che non fumerà mai più, chi riceve una nuova vita grazie all'abilità di un chirurgo o alla potenza di un farmaco, e chi, invece, la perde perché non c'è nessuno che paghi il chirurgo o il farmaco, e c'è chi dà la vita per evitare che un altro la perda. O per scattare una fotografia.


Ecco. Succede tutto questo, nel mondo, in questo istante. Succede, anche, che mentre guardiamo una fotografia, la fotografia ci guarda. E così facendo fa in modo che i nostri occhi si aprano, si spalanchino anzi: sul mondo e su di noi.

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