Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 29 maggio 2015

Il senso del taccuino

(c) 2015 weast productions 
Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Il barbone e la principessa". Sorry, nessuna possibilità di lancio via Periscope tenuto conto della parte del mondo nella quale mi trovo. Qui di seguito (prova a scrivere "il solito" e le prendi) il solito estratto. Le prendo, ma almeno le prendo per un testo che ha un punto soltanto: quello finale.

Questa città produce tutti gli odori del mondo, ci sono quelli più pesanti, incollati a terra, e quelli che trovano il modo di superare l’impasto caldo e irrespirabile prodotto dal pelo dei cani randagi che girano e rigirano a testa bassa e con i denti fuori, e da esseri umani che girano e rigirano e non hanno un posto dove lavarsi, togliersi di dosso la polvere e il sudore, cambiare vestiti, strapparsi via lo sporco, e lo sporco e lo sporco, li chiamano barboni e disperati, e fra gli odori che superano il fondo grasso e denso di questo quartiere c’è addirittura un profumo che si sta definendo, senza troppa fretta, prende corpo, una sembianza, una forma, succede spesso, camminando in una grande città, di sentire un profumo e di attendere che si precisi, dichiari da dove proviene, a chi appartiene, e in questo caso appartiene a... eccetera.

martedì 19 maggio 2015

Senza peso. La storia_2.

© 2015 weast productions

Ma cosa fai ancora sveglia e, soprattutto: cosa ci faaai ancora qui?
La stava prendendo alla larga, mentre teneva d'occhio l'ombra di Lî (meglio usare l'accento circonflesso, è meno cattivo) avanzare lungo la parete e staccarsi, con una grazia non anticipabile, e saltellare ora non molto diversa da una danseuse con in mente chissà cosa e quanto. Il corpo della ragazza emetteva sottili onde magnetiche. Dalla finestra entrava a stento una luce gialla che portava odore di fumo raffreddato, di nicotina depositata sulle superfici della minuscola stanza dentro la quale si era concesso una pausa. Dall'ira e dalla paura. Mia dolce Lî, lo sai che non mi piacciono le sorprese e nemmeno le improvvisate, non mi piace quando prendi l'iniziativa, non mi piace quando ti metti in testa di essere bella e ti avvicini, detesto dovere ammettere che provo compassione, tristezza nel guardarti, nel guardarti messa così, mi fa male. Non stava, tuttavia, utilizzando entrambi gli emisferi del suo cervello. Ce n'era uno che andava per conto suo. E trovava, in una esaltata contraddizione con i dati di fatto (ma quali, esistevano?), la via d'uscita dalla rassegnazione e giudicava così, in fondo al fondo, Lî nemmeno troppo malandata. A dire il vero, addirittura appetitosa. L'altro emisfero andava avanti da solo: e pensava che la solitudine gioca brutti scherzi, e probabilmente la malattia fa la stessa cosa. Infatti: lui era solo e malato. Per entrambe le circostanze non aveva alcuna responsabilità. Non cessava di ripeterselo, anche quando Lî non si faceva vedere per giorni interi. Ne era sicuro. Lui non c'entrava. Quando i pensieri non trovavano via d'uscita dalla testa, finiva col raccontarsi un sacco di balle. O con lo spaccare tutto. Lî era ormai vicinissima. E pensava, senza peso, che tutto questo stava accadendo senza necessità. Succedeva così. Sozusagen, alla cazzo. Lucida com'era, aveva la trasparente consapevolezza che la storia non era ancora iniziata. Nemmeno un po'. C'era, in tutto questo, uno zero di consolatorio. Figurarsi di rassicurante.  

lunedì 18 maggio 2015

Nessuno in giro. La storia_1.

© 2015 weast productions
Inizia, con questa prima puntata, il racconto di una storia raccolta in giro. Vera, come è vera la realtà. Cattiva, come è cattiva la realtà. E da ridere. Come è da ridere la vita. Alcune puntate potranno essere seguite, dal vivo (che vuol dire live), su PERISCOPE. Su Twitter seguite e commentate #lastoria. Anche questa storia è scritta dal vivo.
Si sarebbe dovuto decidere a lavare le tende. Un giorno o l'altro. O a chiedere a Li' Pin di farlo. Povera Li': che soffriva di sciatica e aveva una gamba di legno e una paga che le bastava soltanto perché dormiva dentro una stanza con altre cinque Li'. Alcune con la sciatica. Altre con la gamba di legno. Guardare quelle tende lo metteva di cattivo umore, era come avere i polmoni davanti agli occhi tutto il fottutisimo giorno. Le tende, una volta bianche, avevano col (breve) tempo acquistato un colore malsano di un giallo intenso, con striature di marrone che si accentuavano dove le pieghe facevano delle rugone. Delle rughe cazzose. Quando il vento, entrando dalla finestra spalancata sul mattino (dalle dieci in poi chiudeva le imposte, per la cronaca), muoveva le tende, le dondolava lentamente o le faceva sbattere uguali alle gambe di un moribondo che cerca aria, il giallo si fondeva con il marrone. Francamente, pensare ai suoi polmoni in quegli istanti, davanti a quello schifo, non lo metteva di buon umore, mai; e nemmeno lo aiutava a trovare (o ritrovare) quell'ispirazione che, negli anni trascorsi, non gli aveva mai fatto difetto, anzi era stata una sorgente dalla quale sgorgavano idee, immagini, parole. Anche parolacce. Le parolacce gli erano sempre piaciute, anche se non aveva potuto scriverle, non sempre. Nemmeno dirle. Non ovunque, perlomeno. Le parolacce sono uno slogan, un pugno alzato – pensava. Dissidenza dello spirito. Uno che non dice parolacce non è libero, nella vita. È un pirla.

Pensava che doveva tagliarsi le unghie dei piedi, perché non si sa mai quando ti ricoverano d'urgenza all'ospedale o ti succede il miracolo di incontrare una donna che ti dice di sì: qui e ora. Tutto quello che vuoi. Diiiio. Gli sarebbe piaciuto sapere di buono, e non di fumo o di carta. Profumare – aspetta che sparo una cazzata – di lavanda. O di pino silvestre, meglio ancora. Il massimo sarebbe stato: di acqua di colonia. E di unghie lunghe. Dei piedi. Aveva l'equilibrata consapevolezza di offrire al mondo un quadro squallido. Si sarebbe dovuto decidere, inoltre, a fare fuori – massacrare – quell'enorme vespa che si era attaccata alla tenda. Le piaceva il giallo. Lo spray, che teneva sotto il lavandino della cucina, era vecchio abbastanza per avere perso, almeno in parte, la sua efficacia, quanto bastava per farla soffrire a lungo, quella bestia schifosa: voleva sentirla rantolare sul pavimento, sulla terra di nessuno che separava la finestra dal divano, voleva sentirla chiedere aiuto, chiamare il 144, chiedere perdono per tutti i peccati, le scappatelle, le scopate nei cessi, le balle raccontate, i crimini compiuti, i morti sulla coscienza. Tirare le cuoia. Uiui. Voleva metterle l'orecchio destro sulla pancia e ascoltare il suo piccolo cuore di cartilagine farsi sempre più piccolo e debole, fino a precipitare dentro il buco nero dell'insufficienza cardiorespiratoria e sparire, ma non senza averci messo una pena indimenticabile, una faticaccia, rotolare e capire, ad ogni botta, che stava diventando sempre meno, sempre meno cuore, mentre si lasciava dietro una lunga striscia di rimpianti, soltanto, e di parole mai dette. Vuoi mettere parolacce... Sai che le parolacce liberano? Che dicono la verità?

Si sarebbe dovuto alzare da quella maledetta sedia alla quale aveva inchiodato il culo, andare in cucina, aprire l'armadietto sotto il lavandino, tastare con la mano nello spazio esiguo (oooo) che separava il sifone dall'inalatore per i raffreddori, e afferrare lo spray. Un giorno o l'altro l'avrebbe fatto. Questione di guarire le mani dalle ultime botte, chiudere quelle cazzo di piaghe che gli si erano formate sulle nocche dopo avere tamburellato come una beschtia sulla faccia di quel perduto che si era trovato davanti e lo aveva frantumato per strada, buttato giù con l'ira allegra di uno che ha deciso di rifare il mondo, a modo suo, cominciando da lui e senza nessun altro in giro. Lo aveva santiddio massacrato, scambiandolo (davvero?) per la pagina che restava immobile e senza traccia. Davanti ai suoi occhi. Sapeva essere cattivo, quando serviva. Li' Pin stava entrando nella stanza accanto, come al solito senza camminare. Sorvolava il mondo, maledetta zoppa! Aveva aperto la porta, messo dentro per prima la gamba buona e la sua ombra di matita storta si stava ormai e rapidamente incollando alla parete. Fra un istante, sarebbe stata accanto a lui. Non finiva mai bene, quando Li' entrava così.  

venerdì 15 maggio 2015

Il senso del taccuino.

Domani nel Senso del taccuino sulla (nuova) Regione: "Una boa nella notte". Qui di seguito il (solito, paaarentesi….) estratto.

NOVITÀ: dal prossimo numero, fra due settimane, l'estratto sarà presentato anche in live streaming attraverso l'applicazione PERISCOPE. Per maggiori informazioni, se vi occorrono, siete invitati a scrivere a info@weastproductions.tv.

I morti sono morti. La primavera manda aria calda sugli alberi di limone. E di banane. E se ne frega. Garantito che nei campi qualche cluster bomb ci sarà ancora, una pallina di metallo con una coda in stoffa, che sembra un serpentello, sganciata dagli aerei israeliani nell'estate del 2006, se ci finisci sopra con un piede perdi la gamba, se ti va bene si capisce. Gli anni trascorrono troppo in fretta e non è normale: dietro ci deve essere uno che gli mette paura, che li rincorre con un forcone, o un Kalashnikov. Tiro, nel sud del Libano, è uguale identica a com'era nove anni fa. Il tempo è passato, ma è cambiato nulla. La stazione di benzina sembra essere stata bombardata ieri, anche se l'hanno rimessa a posto. La strada che porta all'ospedale nel campo profughi palestinese è intasata come l'arteria di un malato, eppure è come se fosse deserta, con in mezzo il motorino accartocciato e i pezzi di un corpo umano sparsi qua e là, appena centrati e arrostiti dal tiro di un drone. Il tempo passa e non cambia nulla. La gente invecchia. E muore. E allora? È difficile da capire, e anche da ammettere: il tempo non si misura osservando ciò che cambia, ciò che sparisce. Sono effetti collaterali. La verità è che meno cose cambiano, più tempo passa. Succede, però, che qualcuno muore giovane. Muore ammazzato. Questo sì. È uno scherzo giocato al tempo. È un arresto imprevisto del suo meccanismo, che produce un colpo sordo, seguito da un borbottio, da un rumore di ferraglia e poi dal silenzio. Il silenzio è il segnale convenuto del tempo che riprende a scorrere. Non c'è nulla che possa arrestarlo. E tuttavia: l'eco lontana prodotta dall'inceppamento è una boa calata nella notte che inizia a lampeggiare. La luce intermittente tiene viva la nostra memoria. Cosa abbiamo, d'altro, da sottrarre alla fame del tempo? Una boa, a nove anni di distanza, lampeggia ancora, in questa parte di Libano, senza celare lo sforzo immenso che mette nel produrlo, quel lampo sempre meno visibile e francamente che significa, di chi è?

giovedì 7 maggio 2015

La memoria: per fare luce. E giustizia.

La giustizia è nelle parole che si fanno memoria e ingombro. Disturbo. Fastidio che non cede e anzi cresce, un ronzio nelle orecchie di chi le storie le mette via tutte, e via che non è mai successo nulla. Non per questo, non per quella, morti tutti, sotto le bombe e attraversati dai proiettili. La memoria è la forma più esposta di dissidenza: la sola in grado, quando tutto passa, di chiedere che giustizia sia fatta. E sia pure (e soltanto, ma non è vero, non è soltanto) affidata alla versione dei fatti. Che deve, sempre, cominciare dicendo che uno/una ci è andato/a lì per raccontare agli altri.  E pagando con la vita. 

© 2015 ANSA

venerdì 1 maggio 2015

Il senso del taccuino.

© 2015 weast productions

Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "La vita fatta a pezzi". Qui di seguito il (solito: rieccovi, parentesi!) estratto:

Pensa a come saresti potuta essere infelice. O in fondo al mare. O buttata su un cespuglio come una vecchia giacca a vento piena di buchi e che non scalda più. Non ancora del tutto senza forze, ma ormai vicinissima. Pensa alla paura, che sarebbe stata il primo sapore svegliandoti, ogni mattina, ogni maledetta mattina, prima del caffè e delle mille sigarette che ti fumi. O morta ammazzata. Che forse è l'ipotesi più realistica. Morta ammazzata. Prova a dirla, questa frase. A ridirla. Che effetto fa? Dici: nessuno. Il problema è questo. Trascorri le ore, i giorni appesa a un palloncino riempito d'elio e lo osservi, fin che tiene tiene. A volte ti piacerebbe addirittura che esplodesse, colpito dalle schegge che mandi in giro, che ti esplodesse in faccia, per farti una bella risata, fosse anche l'ultima. Una bella risata, con la voce che graffia e mette di buon umore, soltanto a sentirla uno sorride ed è contento che tu sia in giro, che strano ma è sempre stato così.