Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 29 gennaio 2015

Raccontarti.

Raccontarti. E guadagnare un anno per fotografia. Un anno in più, si capisce. Che affare. Che furbata. Qui ne avrei accumulati già tre. Il problema è che te la tiri di brutto. La furbata, quella vera, è scoprirti quando sei impegnata da un'altra parte, quando non te ne accorgi, addirittura quando te ne freghi di uno che ti guarda.  

(c) 2015 weast productions.
(c) 2015 weast productions.
(c) 2015 weast productions.

mercoledì 28 gennaio 2015

Sei te che non ci vedi.

(c) 2015 weast productions
Che facce. Ma come si fa? Sorridere, ragazzi! S-o-r-r-i-d-e-r-e-! Dai che c'è l'ONU, ci sono quelli che vi vogliono bene, quelli che stanno dalla vostra parte, quelli che vi pensano senza pensare, quelli che con un bel bagno (ma non usare il mio) passa tutto, anche la guerra, quelli che in fondo (in fondo dove, sorry?) siamo esseri umani, a parte quelli che, per inciso o tra parentesi, porca miseria, ci sono scivolati via dalle mani, dai convegni, dai summit, dai festival, dalle interviste, dalle dichiarazioni, dalle buoneintenzioni, dall'iiiioooovelaraccontogiustalastoria, quelli che adesso parlo iiiio, quelli che voglio l'intervista, adesso o mai più, quelli che lascia andare, cosa vuoi che siano, destinanti comunque come sono alla voce noncirisultano... Fuori fuoco sono, sfocati, malvisibili. Inguardabili. Colpa loro. Dov'erano quando è stata scattata la fotografia? Darsi una mossa, no, eh? Lavorare, rimboccarsi le maniche. Guarda che la vita è una cosa seria! Ah sì, seria. Seria e basta? Silenzio e: sorridere. Sorridere, ragazzi!

Eeeeh, ma come si fa... Io sto sorridendo, lui mi pare anche, lei uguale. Ci stiamo divertendo da morire, se la parola - scelta a caso - ha ancora il peso che la tiene a terra. Su questa terra.

Sei te che non ci vedi. Vuoi scommettere che sei te che non sorridi, che sei te che ci guasti la festa? Per morti di fame che siamo, per morti che siamo, stramorti va', scrivilo pure. Che poi tra l'altro - e per tutta la vita meravigliosa che abbiamo avuto o soltanto sognato - è pure il titolo più o meno definitivo di una cosa che verrà. 

Verrà quando? 

Verrà, roba di qualche mese. Cos'è, adesso ci metti fretta? Proprio te, che vivi all'infinito? Come se non finisse mai. 

Finire che cosa?

Lacia stare. 

venerdì 23 gennaio 2015

Il senso del taccuino.


© 2015 weast productions
Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Dentro una scatola storta". Qui di seguito il (solito, maledette parentesi) estratto:

Non è necessario andare chissà dove. L'idea che l'esistenza, chiamiamola vita di tutti i giorni, sia tenuta insieme da una fragile cucitura, diciamo da un rammendo nascosto, ma che a volte ci troviamo di fronte, rivelatore dello spaesamento, del disorientamento che regge – per quanto sembri una contraddizione – ciascuna nostra decisione, ciascuna nostra azione, vale ovunque. Questa idea è venuta fuori così, a bordo di una jeep lanciata a cento allora lungo una strada deserta dentro un paese in cui si combatte una guerra. Non è importante quale: una delle tante. È un'idea venuta a uno che sa di sigarette e caffè bevuto senza zucchero, e che si è improvvisato mia guardia del corpo. Forse perché non ha di meglio da fare. O forse perché vuole metterla alla prova proprio utilizzando me. Funziona, infatti, sempre sugli altri, questa idea. È lo sguardo sugli altri che fa comparire il rammendo, la cucitura che espone l'istante preciso nel quale il disorientamento, impossessandosi della nostra vita, ci mette di fronte al vuoto. Succede che sia proprio questo “sguardo sul vuoto” colto negli altri a lasciare il segno nella nostra vita. Tack. Questa volta è il fucile dell'uomo più anziano a sbattere contro la portiera, nonostante lo tenga stretto come una bandiera.

venerdì 9 gennaio 2015

Il senso del taccuino.

Domani, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Posta nella bottiglia". La telefonata di un fotografo afgano che ha seguito in televisione le notizie del massacro di Parigi. Qui di seguito il (solito) estratto:

Questa telefonata da Kabul rende la tristezza di queste ore ancora più profonda. Eppure, nei lunghi silenzi durante i quali io sento Mustafa respirare e lui sente me, si fa strada un pensiero, che forse è anche una bussola per uscire dalla confusione, dal disorientamento. Mustafa ha fotografato le conseguenze della guerra nel suo Paese, gli errori, le “sbavature”: lo ha fatto non per fomentare l'odio, il risentimento, la sete di vendetta. Ha messo al centro dei suoi scatti l'essere umano colto nel momento in cui il velo sottile che ricopre la realtà veniva sollevato. Lo ha fatto per salvaguardare la nostra capacità di giudicare il mondo, ma anche di provare compassione. Ha telefonato, in fondo, per dire questo: che forse non le vorremo più guardare, quelle fotografie, o guardandole non proveremo più nulla, perché gli assassini di Parigi vogliono proprio questo, costringerci alla chiusura, all'ignoranza dell'altro, alla sorte degli altri, asservire la nostra umanità alla rabbia.

È Mustafa a dirlo, improvvisamente: “E se non andasse così? Nel dolore c'è una forma di resistenza, contro chi si fa portatore e autore di violenza. E c'è, probabilmente, anche la capacità di condividerlo, il proprio con gli altri, e il dolore degli altri, la sofferenza degli altri con il proprio dolore e la propria sofferenza”. La telefonata termina qui. Mustafa, quando si girava insieme per l'Afghanistan, diceva “Stay human”, anche quando di umano, attorno a noi, rimaneva poco. La guerra consuma l'umanità di chi ci è dentro, non soltanto di chi la fa, ma anche di chi la subisce, la spegne. Ha chiamato per consegnare la sua posta nella bottiglia, perché vuole continuare a fare il giornalista e a scattare fotografie nella speranza che qualcuno le guardi. La mattanza di Parigi e la strategia dei predicatori del terrore hanno come obiettivo anche colpire la nostra libertà, incluse quella di espressione e di stampa. Un modo per difendere queste libertà è continuare a raccontare la vita delle persone prigioniere dentro quelle guerre che qualcuno vorrebbe portare nelle nostre città. Raccontare le vittime è un modo per restare umani, ma anche per capire.

mercoledì 7 gennaio 2015

Solidarietà e cordoglio.

FdR esprime piena solidarietà con la redazione di Charlie Hebdo e profondo cordoglio per tutti coloro che hanno perso la vita nell'attacco di questa mattina a Parigi.

In attesa di una rivendicazione o delle conclusioni delle inchieste dei servizi di sicurezza francesi, e senza alludere a una provenienza degli autori della strage dal paese in questione qui di seguito, possiamo ricordare una riflessione (che è anche una informazione), che ha valore generale: il 6 novembre scorso, in un reportage trasmesso da Falò, una giovane donna fuggita dalla Siria dopo essersi impegnata per una rivoluzione pacifica e dopo avere visto jihadisti di ogni tipo (inclusi quelli dello Stato islamico) prendere il sopravvento, rispondendo a una domanda sul rischio di attentati in Occidente ci diceva:

"Quando vengono in Europa, o in America, Canada, possono fare di tutto. Possono far saltare delle bombe, possono uccidere e possono anche organizzare delle operazioni per uccidere qualcuno in particolare, in modo mirato, ad esempio qualcuno che non parla bene di loro, della religione, di un governo o di una forma di governo. Certo, possono farlo, senza difficoltà. Alcuni sono già qui, sono qui, in Europa".