Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 26 settembre 2014

Il senso del taccuino.

Domani, sabato, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Il viatico del vecchio". Qui di seguito il consueto estratto:

Da qualche parte giunge il ronzio di un grosso insetto. È il cellulare. Lo schermo manda un segnale luminoso verso il soffitto. L’insetto insiste. Alle tre di notte la realtà fatica a strapparci dal sonno. Perché chiamano sempre a quest'ora? Vivono alla rovescia. Di giorno sopravvivono, di notte pensano e discutono, consumando centinaia di sigarette e litri di tè. Qualcuno sta chiamando dalla Siria: possono essere soltanto loro. Pronto? “Come stai?”. La voce è subito riconoscibile e se non sapessi che chiama da fuori Mohassen, a una mezzoretta da lì, potrei scambiarla per quella di uno in vacanza sotto il sole. Quando non hai via d’uscita dalla vita che fai, ti adegui. La prendi per buona. È la sola che hai. C'è una strana cosa, capita a tutti: ascoltiamo qualcuno, al telefono, o seduto di fronte a noi, e i nostri pensieri se ne vanno, viaggiano, recuperano immagini registrate tempo fa, ricostruiscono addirittura gli odori, una stretta di mano, uno sguardo. “Pronto, ci sei, mi senti?”. Ti sento e ti vedo. Sta chiamando dalla centrale della compagnia telefonica siriana. È una costruzione rettangolare, bassa, sul tetto ci sono diverse antenne. Quando vogliono telefonare, lui e tutti gli altri, vanno lì, perché il segnale è più forte. Telefonano, parlano, fumano e bevono tè. La mattina li sorprende ancora nel sonno. Dal quale escono lentamente, quasi per dare il tempo alla realtà di presentarsi con una faccia diversa. Non funziona mai, ma loro ci provano sempre. 

sabato 20 settembre 2014

Basta un click.

© Massimo Pacciorini-Job

© Massimo Pacciorini-Job

© Massimo Pacciorini-Job

© Massimo Pacciorini-Job

© Massimo Pacciorini-Job
Tutte le immagini dell'inaugurazione di "evidence" con le fotografie di Andy Rocchelli cliccando QUI.

giovedì 18 settembre 2014

Il nome su un disco.

© weast productions 2014
C'è il suo nome su un disco, un hard drive: Andy. Basta questo. Contiene una parte del suo lavoro. Il nome è scritto su carta autoadesiva, in tutta semplicità, ma così in grande da far capire quanto tiene, chi questo nome lo ha scritto, alla persona che lo portava. Andy Rocchelli. Il disco è dentro una scatola, a SpazioReale. Dove insieme, tutti insieme, abbiamo preparato l'esposizione che giovedì 18 settembre presenteremo alla stampa e venerdì 19 alle 18.30 al pubblico. Che invitiamo a partecipare, presso SpazioReale a Monte Carasso. 

martedì 16 settembre 2014

In giro per il mondo.

A SpazioReale ci stiamo avvicinando al giorno dell'inaugurazione della nuova esposizione e della pubblicazione del primo numero della collana dedicata al fotogiornalismo, edita in collaborazione con Salvioni Edizioni e disponibile presso SpazioReale e in libreria. Inaugurazione di evidence, con le fotografie di Andy Rocchelli, venerdì 19 settembre alle ore 18.30. Alcune foto, qui di seguito, dell'allestimento dell'esposizione. Un lavoro al quale teniamo moltissimo e che ci riempie di soddisfazione, dedicato ad Andy e a tutti i reporter caduti fotografando, scrivendo e filmando in giro per il mondo.























Andy Rocchelli.

Andy Rocchelli (a destra) insieme al giornalista russo Andrej Mironov. Entrambi sono morti il 24 maggio 2014 in Ucraina dell'Est, mentre documentavano la situazione dei civili prigionieri della guerra fra esercito ucraino e separatisti filorussi. (© Andy Rocchelli / Cesura)

Tutte le informazioni sull'esposizione dedicata al fotografo Andy Rocchelli che SpazioReale inaugurerà venerdì 19 settembre alle ore 18.30, con presentazione del primo numero della collana Fotogiornalismo, le trovate cliccando QUI. L'esposizione è prodotta da SpazioReale in collaborazione con l'agenzia fotografica Cesura, di cui Andy è stato cofondatore. 

domenica 14 settembre 2014

Strategia dell'orrore.

David Haines, ostaggio britannico specializzato in sicurezza per le ONG, è stato assassinato (decapitato) da Stato islamico in Siria. Seguirà post sulla Strategia dell'orrore

sabato 13 settembre 2014

Un elefante con i pattini.

© weast productions 2014
Una sera di qualche tempo fa (nemmeno tanto) me ne stavo seduto sulla terrazza di un caffè di Antiochia, Turchia. Insieme a un fotografo americano e a uno turco-americano (diceva lui). Due giorni dopo saremmo dovuti entrare, l'americano ed io, in Siria. Il fotografo turco-americano si era aggiunto non si sa come: sapeva di tutto, ma non di fotogiornalista. Ci ha messo poco a capire che non aveva scelto la compagnia giusta, la mia perlomeno, e se ne era andato. L'altro, il fotografo americano, si stava scolando la decima birra e, in una sorta di delirio, diceva che andavamo incontro se non a morte sicura, sicuramente a un principio di dissanguamento e che quindi lui si sarebbe scritto il gruppo sanguigno sul petto, così se (quando) lo avessero colpito, con una fucilata, avrebbero trovato subito il tipo di cuvée che scorre nel suo sangue e gli avrebbero salvato la vita. Cristo: nemmeno a Hollywood ci arriverebbero... Gli avevo chiesto: e se ti sparano a una gamba, che cosa ci trovano scritto? Silenzio. Avevo capito che in Siria ci sarei entrato da solo (e mi andava molto meglio così), perché l'americano aveva guardato troppi film. È andata così: la notte prima della partenza, a poche ore dalla macchina che ci avrebbe recuperati, l'americano mi aveva mandato un messaggio: febbre alta, rinuncio. Good luck.

Racconto questa storia per raccontarne un'altra, che però prevede la presenza del fotografo americano con la febbre, anche se in quel momento non ce l'aveva ancora, aveva soltanto bevuto un po'. Sulla terrazza del caffè ad Antiochia, si alzano due uomini, sulla trentina, e parlano americano. Il fotografo li sente e capisce che sono paesani, si rivolge a loro: “Ehi, ragazzi, che cosa fate qui?”. Risposta, dei due: “Siamo archeologi!” E ciao, spariti. Antiochia era, a quel tempo, e lo è oggi ancora, crocevia di tutti i traffici immaginabili, una città in cui incontri tutto il catalogo del genere umano. Se c'è, di questo catalogo, una categoria che ha fatto le valigie è proprio quella degli archeologi. Zero, partiti. I due giovanotti americani erano agenti segreti, o consulenti militari, oppure osservatori, qualsiasi cosa che possa avere a che fare con una qualche agenzia governativa. Che sagome: archeologi. Uguali al fotografo turco-americano. Sagoma, anche lui. Una superpotenza senza intelligence (senza informazioni) non è nulla. È un elefante sui pattini.

Chissà quali informazioni hanno raccolto, queste agenzie, visto che siamo giunti alla situazione di oggi. Il termine “levantino” è un complimento, anche se i dizionari ne registrano un'applicazione in senso spregiativo. Nel contesto in cui vogliamo utilizzarlo, è definizione di persona che sa fare i propri interessi, prendendo per i fondelli gli altri, spesso i suoi nemici. Se non è un complimento questo. Siamo tentati di dare un'occhiata in giardino, la sera, prima di andare a dormire: che non ci sia in giro qualcuno dello Stato islamico. Non si sa mai. Questa entità è nata da una consapevole e calcolata operazione che ha, come centro di comando, Damasco, il governo siriano, le sue agenzie di intelligence. Nel Blog ho già avuto modo di segnalare alcuni studi in proposito. Non si possono dimostrare linee di comunicazione dirette, non ancora, ma si può fare un paragone: se continui a grattare una ferita non appena fa la crosta, primo non guarisce, secondo diventa più grande. È successa la stessa cosa. Damasco, a partire dal 2003 (invasione dell'Iraq da parte di USA e alleati), si è presa una fifa pazzesca di fare la fine di Bagdad. E allora, sai cosa faccio? Ti mando tutte le teste calde che circolano nel mio Paese, e visto che con l'Iraq ci confino pure, faccio in modo che attraverso la frontiera ci possano passare anche gli allucinati che vengono da altre nazioni. Aggiungete un ulteriore ingrediente: qualche tagliagole incarcerato in Siria. Fuori cella, anche lui, vai in Iraq! Così vi passa la voglia di esportare la democrazia in Medio Oriente…  La politica, signore e signori, funziona così. Il tempo passa, questi in Iraq si stufano, non c'è più granché da fare e da tagliare, tornano. Dove mandarli? In Libano, ad esempio. Vedi, al proposito, la “guerra del campo” di Nahr El Bared, 2007. Salafisti proclamano lo Stato islamico nel Nord del Libano (sottolineo: eravamo nel 2007). L'esercito libanese cannoneggia il campo. Finita.

Salto temporale. Primavera araba, blablabla, contagio in Siria. Prime reazioni ufficiali da Damasco: i dimostranti sono terroristi. Mmmhhh.... Andrebbe anche dimostrato. Si apre un nuovo scenario per il popolo della guerra religiosa. Ri-benvenuti in Siria. Obiettivo: colpire più l'esercito sconclusionato degli insorti e disertori (Free Syrian Army), che chiedono la democrazia (cusa l'è?) che non il regime di Damasco (che pilota i fondamentalisti, in primis salafisti, e lascia fare con occhio vigile). Va bene così: perché la versione ufficiale damascena piano piano si rafforza e si innesta sulla vulgata del mondo occidentale: guerra contro il terrorismo. Che è sacrosanta, se soltanto non fosse così poco trasparente. Oggi, Damasco è in guerra contro il terrorismo. L'innesto è compiuto. Lo stesso terrorismo a cui gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra, per combattere la quale sono in cerca di alleati. Non farebbe una piega, se soltanto non ci fossero gli elementi per sospettare (perlomeno sospettare) che questo terrorismo sia stato costruito con sapienza e intenzione da chi lo ha utilizzato come cortina fumogena per delegittimare una insurrezione popolare. Se combattiamo lo stesso nemico, vuoi che, finita la guerra, ci mettiamo a farcene un'altra tra di noi? No.

Si sta parlando di “armare i ribelli siriani” che, in questo modo, potrebbero ora servire da prima linea nella guerra contro i terroristi dello Stato islamico. Sapete perché non vado al cinema? Perché mi basta osservare il mondo. Si vuole armare gli insorti oggi per dirottarli contro lo Stato islamico. Quando si trattava di armarli contro il regime di Damasco, che bombardava i civili di Homs e bombarda sempre e ancora quelli di Aleppo, nulla. Armi, giammai! Nemmeno gli aiuti umanitari entravano. Che storia.

Se, prima, c'erano (anche giustificate) riserve sul comportamento dei ribelli siriani (Free Syrian Army, poi Al Nusra et alii), ma in particolare su FSA a causa di esazioni, furti, ricatti, pressioni ecc. nei confronti della popolazione civile, oggi tutto questo è cancellato. Servono alleati sul terreno, visto che non ci mandi i tuoi soldati. Se non sei di bocca buona, di alleati non ne trovi.

Dicono che quelli dello Stato islamico si finanzino (anche) con il petrolio estratto in Siria e venduto al governo siriano e sul mercato nero turco. L'immagine che pubblico mostra come, nella provincia di Deir Ez Zor, oggi in mano al Califfato, alcuni disperati raffinavano il greggio destinato al mercato locale (poca roba) e a quello (turco) oltre il confine. Il cielo era nero del fumo velenoso che si alzava dai campi. Persino le pecore avevano il pelo nero. Non so chi fossero, a quale gruppo appartenessero questi "raffinatori". Nella zona, all'epoca, c'era solo Al Nusra, non ancora i seguaci del Califfo, e c'erano, chiaramente, ancora quelli della Free Syrian Army. Quando ci accorgevamo della loro presenza, voglio dire di quella di Al Nusra, i miei accompagnatori siriani ed io ci facevamo un gran giro attorno, a questa gente.

Tutto questo per dire che per giungere alla situazione di oggi è servito un bel po' di tempo. Mi chiedo soltanto come mai i due archeologi di Antiochia e tutti i loro colleghi non se ne siano accorti prima. O se ne sono accorti?  

venerdì 12 settembre 2014

Il senso del taccuino.

Ritorna domani, dopo l'estate, Il senso del taccuino sulla Regione: "Personaggi senza autore". Qui di seguito il consueto estratto:


Non chiederle com’è andata l’estate. Vorrebbe scordarla. È viva, ma è come se ciò la mettesse al centro di un ring. Dice: “Mi faccio coraggio da sola, cosa vuoi che sia alzare e abbassare un bicchiere... Riempito di acqua tonica e gin”. Gin lo pronuncia con tante “i”. Giiin. Il ventilatore, appeso a due metri da noi, sta compiendo strani giri, le ventole tossiscono mandando un rumore da malate. Il meccanismo, per ora, regge. Se suo figlio è partito, non è certo perché c'entra dio, o Dio, “vedi tu come scriverlo”, dice. Sul prospekt di Kiev sfrecciano due gipponi, incollati uno all'altro. Arriva con ritardo e soffocato “iverlo”, ma si capisce comunque ciò che vuole dire. È una bella donna di cinquant'anni. Racconta che ha letto e riletto, fino a rendere le parole lucide e trasparenti, i libri di Michail Bulgakov. La casa del maestro è a pochi metri da qui. Vieni al dunque. Se puoi. Il bicchiere si alza. Il bicchiere si abbassa. Vista da vicino, è ancora più bella. Dentro è a pezzi. Una città bombardata. Vai avanti. Lei va a Donetks, nell’est del Paese.  

mercoledì 10 settembre 2014

15 secondi.

Capita. E quando capita, ti fa pensare. In ascensore, se non sei dentro solo, c'è sempre il problema di: dove mettere gli occhi, dire qualcosa, trovare un argomento. Se stai zitto, è come trattenere il respiro sott'acqua: devi riuscirci dall'inizio alla fine. Se dici qualcosa, il cinema ci ha abituati a pensare che l'argomento sia sempre il tempo che fa. È cinema, that's the way it is. Oggi, mi sono fatto 15 secondi di cinema. Senza il meteo. La persona che ha preso l'ascensore insieme a me mi ha detto che Faccia da reporter è la sua ultima lettura prima di andare a dormire. Altro che il tempo. Mi è tuttavia sembrato di essere in un film, per un istante. Quei film che guardi e ti dici che è vero, che la vita va così. È la forza della finzione: ci apre gli occhi su una realtà che altrimenti non vedremmo mai. Soprattutto, ci spiega che la vita è un racconto. Siamo tutti in fila dietro un racconto, qualche lettore si ricorderà questa frase del Blog. Vorrei ringraziare la persona che mi legge prima di dormire. Lei che mi legge di sera tardi, è diventata il mio racconto di oggi. Per una volta che non scrivo di cose brutte, lasciatemelo fare.

lunedì 8 settembre 2014

Che vita. Meravigliosa.

Il britannico Guardian si chiede, nell'edizione di oggi, se dopo l'assassinio di James Foley i reporter di guerra debbano chiedere maggiore protezione. Scopro, nel filmato che i colleghi propongono sul loro sito, uno scatto che mi ritrae. Per vederlo cliccare QUI, la sequenza è all'inizio e poi da minuti 2.01. Fa un effetto pazzesco. Mi ricordo la situazione come fosse un minuto fa: la terrazza dell'Hotel Corynthia a Tripoli, Libia. Ero al telefono, con il coordinatore della ricezione dei servizi via satellite che tutti chiamiamo Della, un deus ex machina della RSI (Telegiornale). Improvvisamente la terrazza è investita dal fuoco dei cecchini: con i colleghi presenti cerco un qualche riparo e mi ricordo - mi ricordo - del fotografo che ha fatto click: come fosse un minuto fa. La foto salta fuori oggi, segnalatami da qualcuno al telefono. Risveglia un racconto mozzafiato (per me, si capisce), con le sequenze che fanno quasi a botte per essere riviste per prime: ad esempio quella di un servizio mandato sotto il fuoco (di chi? e: di nuovo), che minacciava la zona dove era parcheggiata la camionetta con sopra, sul tetto, l'antenna per l'invio del pezzo, dentro c'era un greco pazzo che parlava di guerra nei Balcani fatta tutta, dall'inizio alla fine, con la stessa camionetta, e diceva che le pallottole libiche a lui non gli facevano nemmeno solletico. O la sequenza di una pallottola entrata nella mia stanza nello stesso Corynthia, che si è conficcata nella testiera del letto e mi ha sfiorato lo stomaco di un millimetro, mentre stavo seduto al tavolo e montavo un servizio per il TG della sera. Da quella notte ho dormito per terra, riparato alla meglio dal giubbotto antiproiettili e dal casco. Cosa avrei dovuto fare? Chiamare gli americani, che mi proteggessero? Chiedere che mettessero un carro armato accanto al mio letto? Che mi sorvolassero sopra la testa con un elicottero? Se me lo avessero chiesto, quelli del Guardian, visto che hanno utilizzato la mia immagine, avrei risposto alla loro domanda che non ci serve maggiore protezione. Perché significherebbe essere controllati. Da chi comanda, da chi parla (troppo), da chi cerca i riflettori per sparare frasi senza senso e senza contenuto, da chi dice io senza che ci sia qualcuno dietro, da chi vuole farti credere che il mondo va così. Quando non va così. Da chi c'entra anche se dice che non c'entra mai. Che vita. Meravigliosa. Così com'è: esposta ai rischi e alla realtà vera. E libera. Che  non è dire dire poco, oggi. Altro capitolo, che affronteremo successivamente: il rapporto fra grandi testate (media) e reporter indipendenti (freelance). In attesa dell'esposizione presso SpazioReale a Monte Carasso. 

martedì 2 settembre 2014

Press.

© 2014 weast productions
C'è una cosa che può salvarti la vita: il giubbotto blindato. E c'è un parola che non significa più nulla, in molte parti del mondo, se non una condanna a morte: Press. Stampa. In Medio Oriente, ma non soltanto: perché non fanno notizia i giornalisti morti ammazzati in America Latina. O altrove. Metti l'Ucraina. La Russia. Se ti scrivi addosso Press è come se pronunciassi un invito a farti schiacciare: sei un insetto che dà fastidio.

Vogliamo dare fastidio. Fino in fondo. A tutti. Ai macellai e ai potenti. A chi ammazza i giornalisti mettendo l'assassinio su internet, a chi gli mette il bavaglio, a chi li ascolta, li sorveglia, a chi li spia, a chi non sta zitto/a un momento perché è alla ufficiale ricerca di riflettori blindati e sicuri, basta che ci sia un obiettivo e un microfono a portata di mano, che con la mano se lo agguanta e via che vado, è mio è mio, ma che bello questo albergo di lusso dove sto da dio e si mangia che nemmeno a casa. E non rischio un emerito nulla. Se soltanto non fosse per quei ragazzini un po' tanto sporchi nei campi profughi, che ti si incollano alle mani, e che purtroppo sono parte di questa (indispensabile all'autopromozione) sceneggiata in mondovisione. Che noia. Vogliamo dare fastidio a chi, aspetta un attimo e vedrai come va a finire, sta per passare dalla parte di qualcuno che con i macellai ci ha fatto affari. E continua a farceli. Non è per tirarsela, ma se c'è una forma di resistenza, di resistenza vera, oggi è nella parola Press. STAMPA. Non quella che si è fatta di valium e tira avanti tastando con le mani e senza registrarla la piega che prende la realtà. Che prende la vita. Press è una parola che uno si porta addosso come un tatuaggio, in giro per il mondo, libero. Indipendente fino in fondo. Anche quando muore. Press è resistenza. Resistenza vera. Facciamo anche il suo nome: Press

Caduti per raccontare il mondo.

Un nuovo video messo in circolazione da IS (Stato Islamico) mostra (mostrerebbe, sembra mostrare, si attendono conferme ufficiali)  l'assassinio del reporter americano Steven Sotloff, di cui si erano perse le tracce in Siria dal 2013. 

È indispensabile, a questo punto, la lettura di questo articolo (cliccare QUI): non è il solo studio importante, ma è breve e chiaro e aiuta ad evitare le scorciatoie del ragionamento. Per chi abbia interesse a capire come nasce, prospera e si muove sul terreno un movimento come IS. Per capire chi ha interesse a nutrirlo, tollerarlo, lasciare che esprima la sua barbarie. Un articolo importante per non lasciarsi fuorviare dalle versioni ufficiali del mondo, anche in un momento di profondo e rinnovato dolore. Faccia da Reporter fa il nome: Steven Sotloff.

A questo punto credo sia opportuno annunciarvi che il 19 settembre alle ore 18.30 inaugureremo presso SpazioReale un'esposizione fotografica dedicata a un reporter ucciso facendo il suo mestiere. Ucciso insieme al suo interprete giornalista. Dedichiamo questa esposizione a tutti i reporter caduti per raccontare il mondo. Seguiranno maggiori informazioni.