Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

sabato 5 luglio 2014

Il senso della biro_1. Confessioni d'estate.

© 2014 weast productions
Pensava che l'estate rende tutti più buoni. Nel senso di “bocca buona”. Alzi la mano chi ha voglia di trascorrerla da solo o da sola, guardando gli altri che si trasformano in cisterne per aperitivi, escono a cena, e se va bene e cioè come deve andare lasciano il ristorante tenendosi per mano. “A manina”, si ripeteva lei dentro la testa: “a manina”. La parola dava vita a un rosario impazzito destinato alla inevitabile autocombustione quando non sarebbe più stata capace di tenere separate le parole. Tutte quante sarebbero diventate una piccola palla incandescente ed esplosiva: aaamaaanina! Si fermava sempre prima: prima di immaginarseli appiccicati da qualche parte, sotto le stelle o dentro una macchina o chissà dove. Perché tutto quel sarcasmo nei confronti di chi non faceva che ricercare e celebrare la propria felicità? Che fosse invidia? Invidia nei confronti della capacità che gli altri avevano di “accontentarsi”, di “stare bene?”.

Le sue amiche la chiamavano “la svitata”. Le sue amiche non sapevano nulla, di lei. Capirla, poi, sarebbe stata un'operazione impossibile. Per tornare all'invidia: non è la parola giusta, poiché per come diolavevafatta, lei aveva poco da invidiare alle altre. A quelle, per fornire un esempio, che si facevano prendere la manina. Anche se non era la manina, il problema. Se gli piaceva tanto, se la facessero anche mangiare, per lei era uguale. Tanto per essere chiari dall'inizio, lei contro gli uomini non aveva nulla. Anzi: in passato era uscita e ancora oggi usciva con qualche ragazzo. Li chiamava tutti Pritt, ma non come Brad: Pritt come la colla. Le restavano appiccicati addosso nel corso di qualche improvvisato happy hour al quale non aveva saputo dire di no, perché le sue amiche glielo avevano chiesto, l'avevano pregata di restare, le avrebbe fatto bene, per una volta, vedere un po' di gente. “Okay, resto”, aveva finito con l'accettare, anche questa volta. In realtà, era una concessione che celava un interesse.

La serata era partita sullo spartito di sempre, animata da un bel po' di gente che ora affollava la terrazza del locale. Era seduta al bar e stava ascoltando un tizio sulla trentina avanzata: se l'era trovato accanto, materializzatosi dal nulla. Lei ascoltava sempre e parlava poco. Da tempo aveva concluso che gli uomini è meglio lasciarli parlare: uguale di che cosa parlino, finiscono sempre con il parlare di se stessi. Questo, però, parlava un po' diverso: dava l'impressione di non credere a quello che raccontava e ciò lo rendeva simpatico. Quasi: ironico. Al punto che lei aveva accettato l'invito a cena, formulato senza troppa cerimonia al terzo o forse quarto bicchiere di bianco o prosecco. Aveva salutato le sue amiche, che avevano risposto, tutte insieme, con uno sguardo che teneva miracolosamente insieme la soddisfazione per la missione compiuta (“esce con un uomo!”) e la devastante premonizione di un distacco (“la stiamo perdendo!”). “Palle!”, aveva risposto lei, ma soltanto fra sé e sé.

Si stavano avviando verso la macchina (quella di lui: lui ci teneva!) e lei avvertiva una piacevole (e francamente – si stava dicendo – quasi dimenticata) sensazione, riassumibile con una parola: aspettativa. Non era costruita su elementi oggettivi, segnali da leggere oppure messaggi in codice da decifrare. Veniva da dentro, le piaceva sentirla e si concedeva, dopo tanto tempo, il lusso di provare quel senso di tensione e curiosità. Era come rimettersi i tacchi alti dopo mesi trascorsi con le Converse ai piedi: produceva una certa vertigine. A tavola, tutto era andato nel migliore e più prevedibile dei modi: lui era passato in modalità autobiografica, mandando in frantumi l'illusione che sapesse parlare d'altro. E così lei si era sorbita la storia della sua vita, introdotta dalla promessa non mantenuta della sintesi. Erano ormai all'amaro (lei lo aveva preso senza ghiaccio, col bicchiere freddo), quando lui metteva la parola “fine”, con un elegante (elegante per lui) “acqua passata”, al riassunto dei suoi anni trascorsi. Chissà perché, si stava chiedendo lei, se gli lasci un minimo di corda gli uomini sentono sempre il bisogno di farti sapere che nella loro vita hanno avuto un grande amore, finito male, che ha lasciato ferite profonde, ma ormai rimarginate, un amore insomma concluso da un bel pezzo e per sempre? Forse era dovuto a un disperato bisogno di “credibilità”, alla necessità di “confessare tutto subito?” Lei ragionava su questo e si diceva: me lo avessi taciuto, questo tuo amore, ci saremmo fatti un paio di risate, parlando d'altro. Il pensiero era durato meno di una leggera scossa elettrica. Adesso toccava a lei, prima che lui le prendesse la mano, schivando abilmente il piattino con sopra il foglietto del conto, dentro il quale aveva avvolto con cura e astuzia la banconota da duecento franchi, sicuro che lei non l'avrebbe vista, perché non sta bene far pesare a una donna il fatto che l'hai invitata a cena. Lei aveva formulato la domanda, impiegando due secondi: “Ti andrebbe di rapinare una banca insieme a me?”


Stavano uscendo dal ristorante, lui dietro, lei davanti. Uscivano come due colleghi che da anni condividono lo stesso ufficio detestandosi. Non c'era stata nessuna “manina” mandata in missione lungo il tavolo per raggiungere la sua, non c'erano stati i suoi occhi dentro ai quali decifrare gli scenari esplorabili per il dopocena. Lui l'aveva riportata a casa, rispettando i limiti di velocità, prendendo le curve in modo pedante. Giunto a destinazione, aveva addirittura spento il motore. L'aveva salutata con un lento e appesantito scuotimento del capo: “Dimentichiamo tutto. Potrei denunciarti, lo sai?”. Lei era scesa. Lui era ripartito piano piano, mettendo la freccia: cristo. La rapina l'avrebbe fatta lei da sola. Non era stata la risposta, e nemmeno la velata minaccia di denuncia a farle concludere che non avrebbe concluso niente, con lui. Era per come guidava, cristosanto! Le serviva uno che ci sapesse fare al volante. Avrebbe dovuto aspettarla per strada, con il motore acceso. E poi decollare, sparare via come una pallottola. E come nei film. Questo e basta. Tutto, ma non come aveva guidato quella sera, non come era ripartito poco prima. Era così difficile? Se il colpo fosse andato in porto, avrebbe anche potuto divorarsela, la sua manina. Quel giorno, lei non avrebbe opposto resistenza.  

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