Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

martedì 8 aprile 2014

Una donna.



(c) 2014 weast productions

(c) 2014 weast productions
« Non ho più nulla ». Quando una persona, che ti sta davanti e ti sta parlando, ti consegna questa frase è tuo dovere cercare il modo di evitare che si spenga. Che cosa significa « non avere più nulla » nella vita ? Se questa persona è in fuga dalla guerra, puoi provare a dirle che, per fortuna, ha ancora la vita. Il problema è che lì dove vive, dietro una porta che non chiude fuori nulla, nemmeno la miseria, in un appartamento-spelonca, in una stanza invasa dall’umidità e dalla muffa, l’ultima cosa a cui pensa è che questa sia una vita. E non lo è, non è vita. A questa persona puoi provare a dire che non è la sola al mondo costretta in queste condizioni. Non risponde dicendo che va bene, ma intanto ci sono dentro io, con i miei figli. Non risponde e basta. Ti guarda in silenzio e accetta di essere guardata, come donna e come madre con i suoi figli asmatici che hanno i polmoni rovinati dalla muffa. Chiede soltanto di non fotografarla, perché ha paura. Dice che « non ho più dignità ». Serve una forza difficilmente immaginabile per ammetterlo ed accettare che uno sconosciuto ti guardi. Lo dice perché per accettare di vivere come sta vivendo lei devi spegnere qualcosa, dentro il cervello, devi neutralizzare le resistenze che altrimenti ti farebbero dire che così non si può vivere. 

Come fare affinché la frase di questa donna non si spenga? E quale linguaggio trovare, inventare, a quale linguaggio affidarsi affinché giunga anche agli altri, a tutti, tutti noi ? Di quale linguaggio fidarsi ? C’è un modo per rivendicare la dignità di questa donna, della sua esistenza e resistenza ? Di farlo così che essa si innesti nel corso normale delle giornate, con tutte le cose che ci sono da fare, a cui pensare, a cui stare dietro, che non sia un pensiero che si impone, ma un pensiero che accompagna. Pensare alla vita di questa donna come se fosse normale farlo, come fosse normale pensarci : non uno sforzo, non un compito, non una parentesi. Come respirare, invece. E quindi senza in fondo pensarci, perché viene naturale. Come fare affinché la vita di questa donna diventi, per noi, uguale al respiro, importante, indispensabile?

Non è teoria e non credo nemmeno sia retorica da buonismo. Se vogliamo continuare a raccontare e a farci raccontare il mondo, qualche domanda dobbiamo farcela. Non per sentirci in colpa, non si tratta di questo. Per sentirci vivi. (Continua, quale prologo alla pubblicazione della serie alla quale sto lavorando).

(c) 2014 weast productions



(c) 2014 weast productions

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.