Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

lunedì 31 marzo 2014

Which way?

Questa sera BBC 4 trasmette alle 23 CET il film documentario di Sebastian Junger Which Way is the Front Line from Here?, dedicate al fotografo e documentarista Tim Hetherington, ucciso nel 2011 a Misurata, Libia. Con lui aveva perso la vita anche il fotografo Chris Hondros. Maggiori info QUI.

venerdì 28 marzo 2014

Morte di una giornalista.

Mayada Ashraf, una giornalista egiziana di 22 anni, è stata uccisa oggi da un proiettile alla testa mentre seguiva gli scontri fra sostenitori dei Fratelli Musulmani e la polizia al Cairo. Chi ha sparato? È già in corso il solito rimbalzo delle responsabilità. Il Blog la ricorda, facendo il suo nome: Mayada Ashraf. 

Il senso del taccuino.

© 2014 weast productions
Domani, sabato, nel Senso del taccuino sulla Regione: "La matta di Tripoli". Qui di seguito il solito estratto:

Una fiammata, improvvisa, avvolge la donna, che urla una frase incomprensibile e poi più nulla. Il suo corpo sussulta, colpito come da una serie di frustate. Poi cade a terra. Attorno c'è chi fugge – anche uomini – impauriti da questa donna in fiamme. Infine, qualcuno interviene e la soccorre. Nell'aria ristagna un odore di benzina e di vestiti bruciati. Anche di carne bruciata. La donna è ancora viva quando viene ricoverata in un ospedale di Tripoli, in Libano. Ed è viva anche oggi, anche se gravemente ustionata. Il codice a barre sul braccialetto per pazienti che le hanno messo al polso non racconta la sua vita. Dice soltanto che è nata a Homs, in Siria, e che il suo nome è Miriam Abdulkader. Si è data fuoco il 25 marzo davanti all'ufficio dell'Alto Commissariato per i rifugiati dell'ONU. Per protesta, perché nessuno l'aiutava. Qualcuno dirà perché è impazzita. Forse anche per questo. Non è una colpa impazzire da profugo. Non è una colpa impazzire a causa della guerra. Miriam Abdulkader raccontava spesso di quando una delegazione dell'ONU aveva fatto visita al quartiere di Tripoli in cui sopravviveva con la sua famiglia. I bambini erano corsi incontro agli stranieri. La più piccola, di otto anni, voleva prendere la mano a una di quelle persone, sai come sono i bambini. Miriam aveva notato subito l'espressione imbarazzata, o forse peggio, della visitatrice e poi la mano che si ritirava, senza nemmeno avere sfiorato l'altra, e la madre aveva sgridato la bambina, sei tutta sporca, non toccare la gente, vattene via. Se n'era pentita, subito dopo, quando la delegazione era risalita sulle enormi jeep bianche con l'aria annoiata di chi non vede l'ora di essere da un'altra parte. Aveva concluso che un giorno, a questi signori così puliti e arroganti, gliel'avrebbe raccontata tutta la sua vita da profuga. A costo di passare per matta.

giovedì 20 marzo 2014

Carri armati e olio di ricino. Su Weast TV.

Sulla situazione in Ucraina e Crimea un dispaccio di Weast TV dal titolo Carri armati e olio di ricino. Per vederlo clicca QUI.

Parlami di rivoluzione. Dove? A Berna.

Martedì 25 marzo avrò il piacere di essere ospite del 9° Forum sulla sicurezza organizzato dal Dipartimento federale degli Affari Esteri a Berna. Si parlerà di Medio Oriente e rivoluzioni, di che cosa significa raccontarle, filmarle, fotografarle e delle implicazioni locali e internazionali (anche per la Svizzera) dello scenario che si è venuto a creare (Libia, Siria, Egitto, Tunisia). Faremo un giro - ideale - anche in Ucraina. Parole con (molte, moltissime) immagini, filmate e fotografiche che verranno mostrate al pubblico. Chi fosse interessato trova qui di seguito maggiori informazioni.


A Faccia da reporter piacciono i post con molte immagini, che inserisco ogni volta che sono disponibili. Quindi, anche questa volta, ecco una serie di scatti che ci riporta al Cairo (e sembra una vita fa se paragoniamo l'Egitto della rivoluzione e quello di oggi). Copyright: Weast Productions (riproduzione vietata senza l'autorizzazione dell'autore).












venerdì 14 marzo 2014

Il senso del taccuino.

Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Il sottofondo della vita". Qui di seguito il solito estratto:

Sono passati tre anni dalla mail inviata da Elena, dalla sua partenza. Alla Stazione Centrale di Kiev, la banchina del treno della sera diretto in Crimea è semideserta. Una donna dall'aspetto agile e giovanile è infilata dentro un pastrano color verde che le arriva poco sopra le ginocchia. I pantaloni neri sono arrotolati fin sopra alle caviglie, gli scarponcini dal collo alto hanno le stringhe infilate a metà. Si gira, lentamente, forse sentendosi osservata. La somiglianza è straordinaria, quasi dolorosa. Sarebbe davvero da scriverci un romanzo, se fosse lei. Se avesse deciso di spezzare il suo silenzio volontario, tornare a casa, ricominciare la ricerca della verità con le sue immagini. Liberare la realtà dalla crosta fatta di bugie e inganni, di frasi utilizzate per celare, di intenzioni piegate all'interesse, al tornaconto.

martedì 11 marzo 2014

Dentro l'immagine. Dentro la vita.





Allievi di quarta del Liceo di Mendrisio scelgono e sistemano alcune mie fotografie (le ultime dall'Ucraina) che compongono l'esposizione (visibile nell'atrio dell'edificio principale) Dentro la vita. L'iniziativa si inserisce nel ciclo di eventi, approfondimenti, proiezioni cinematografiche, testimonianze e conferenze organizzate dal Liceo con il titolo Genocidi, guerre, vittime innocenti. Il 26 marzo incontrerò gli allievi, lo stesso giorno, alle 18.00, avrò il piacere invece di incontrare il pubblico con una serata dal titolo: Dentro l'immagine.

domenica 9 marzo 2014

Gli scatti di Giles.

Le fotografie di un amico e di un ospite di SpazioReale, che molti nella Svizzera italiana hanno conosciuto e apprezzano: Giles Duley e i suoi scatti dei profughi siriani nel campo di Zaatari, in Giordania. Visibili cliccando QUI.

Morte di un fotografo. In memoriam di Ali Mustafa.

Ali Mustafa era un fotografo freelance canadese, attivo per diverse testate internazionali. È morto oggi ad Aleppo, in Siria, durante un bombardamento che le fonti riferiscono sia avvenuto con elicotteri che hanno sganciato barili esplosivi. Faccia da reporter lo ricorda con questa intervista, cliccando QUI, e con una delle ultime fotografie scattate da ali (clicca QUI).

La realtà sommersa in Ucraina.

© 2014 weast productions
Weast TV propone ai suoi lettori una mini inchiesta per capire i dietro le quinte della crisi in Ucraina e Crimea. Da leggere cliccando QUI.

giovedì 6 marzo 2014

Pietà. E paura.


© 2014 Max Rokotansky

© 2014 weast productions

© 2014 weast productions
A volte penso che facciamo paura alle vecchiette. Noi della "stampa". Vestiti come siamo. A volte addirittura blindati, ricoperti di un buon tredici chili di acciaio e kevlar. E incapaci di dire una frase intera nella lingua locale. Lo pensavo scattando la prima fotografia della serie, mentre venivo senza saperlo fotografato. Poi, riguardando ciò che avevo fotografato invece io, mi sono messo a pensare. E la paura è venuta a me. La paura che non c'è nulla, a questo mondo, forte abbastanza per fermare la violenza, per metterle un argine. Non la religione (lascia stare, vedi i casini che fa), non la fede (che è già qualcosa di più intimo, personale). Il secondo scatto mostra infatti ciò che stavo fotografando mentre sono stato fotografato: una vecchietta (una "babushka) ucraina che prega davanti a un altare situato dentro un parco e ricoperto di bellissime icone. Prendi il volto della Madonna che si vede sulla sinistra: lo guardi e ti dici che qualcosa esprime, qualcosa di umano possiamo dire. Se guardi meglio è ancora di più: è compassione. La compassione che soltanto una madre sa provare. Compassione per il sangue che facciamo scorrere, i morti che seminiamo e i macelli che insceniamo.

Ho sempre pensato e continuo a pensarlo: questo sguardo non ha nulla di divino. È uno sguardo umano  prodotto dal nostro sdoppiamento: ci guardiamo ammazzare gli altri e proviamo compassione verso gli altri e verso noi stessi, nella cancellazione istantanea che questo sguardo produce dei ruoli di vittima e di carnefice. Tutte vittime, e consapevoli di essere vittime anche quando ammazziamo. Tuttavia, siamo incapaci di sentirlo davvero, questo ruolo, e sottolineo: il ruolo di vittime. Incapaci di toglierci di dosso questa pelle che ci fa sentire a caccia. A caccia degli altri. Sotto sotto, a caccia di noi stessi, tesi, cioè, verso l'annientamento di noi nel momento stesso in cui ci scopriamo nell'altro. Ecco cos'è la guerra.

L'immagine di questa Madonna nella fotografia (lo scrivo maiuscolo, perché ricorda la madre, le madri) fotocopiata a colori, ci presenta lo sguardo dell'altro nel preciso istante in cui ce lo troviamo davanti e stiamo pensando a che farne di lui, se lasciarlo vivere o farlo fuori. Dal suo sguardo giunge il senso profondo della pietà nei nostri e nei suoi confronti. Non riuscendo a reggere questo sguardo, lo annientiamo.

Credo funzioni così, ci sto lavorando da anni per capirci qualcosa. Non ha nulla di religioso, tutto questo. È ontologia sotto mentite spoglie (religiose), nel caso della seconda fotografia. È ontologia e basta.

E ora la terza fotografia: il religioso in tuta mimetica con la croce e il breviario in mano. Per reggere lo sguardo che vede (senza che noi lo vediamo, ma lui lo vede), si è messo il giaccone da guerra. Sta recitando una preghiera per i morti dentro una mimetica. Stessa cosa fanno i cappellani militari. Siamo incapaci di toglierci di dosso la pelle che ci fa sentire a caccia. Dell'altro. E di noi stessi.

È questo che mette paura: tutta quella fede che la gente prova e professa in Ucraina non basta, non serve, nemmeno viene utilizzata per tenere lontano l'odio e una possibile guerra. Funziona al contrario: l'odio cresce quando vediamo l'altro e capiamo che è uguale a noi, con le stesse aspirazioni, le stesse certezze e gli stessi dubbi. Non riusciamo a reggere il suo sguardo. L'immagine di noi che proietta. Il suo essere uguale a noi. E, dentro a tutto questo, soprattutto la nostra estenuante fragilità.

È di un complicato brutto. (Continua).

mercoledì 5 marzo 2014

Dispaccio dall'Ucraina: democrazia e portafoglio.

© 2014 weast productions
L'Europa promette 11 miliardi di euro all'Ucraina. A chiedere a chi andranno uno ci fa anche la figura del fesso. Uguale a quando i miliardi (a memoria credo 15, in dollari) li aveva promessi Putin, prima che la situazione precipitasse con gli eventi e il sangue del Maidan e ora la Crimea. Lui sapeva perfettamente dove e a chi sarebbero andati: ai "suoi". I ragazzi con cui sono stato in giro per il Paese la prendono come può permettersi di prenderla chi ha trent'anni al massimo. Con un sorriso; amaro però. E con una battuta, che circola in questi giorni. Dice: “Dobbiamo andare alle elezioni subito e poi far fuori tutti gli eletti. Torniamo a votare e facciamo fuori anche questi. Votiamo una terza volta e con questa nuova classe politica in Parlamento e Governo potremo cominciare a parlare”. Il “li facciamo fuori” è chiaramente da intendersi in senso figurato. La battuta, invece, va presa alla lettera e la dice lunga sulla fiducia che i giovani nutrono nei confronti del Governo provvisorio di Kiev. Zero. La dice lunga anche sulla geologia dello strapotere: una stratificazione di affari e arricchimenti personali che inquina la cultura politica in Ucraina.

Teniamo d'occhio anche le rivoluzioni nel mondo arabo per capire i giochi che si stanno componendo a due ore e mezza d'aereo da Zurigo. L'Egitto dei generali (cosa non se n'è scritto sui giornali, cosa non s'è detto nell'etere, scoprendo a posteriori che il colpo di stato lo avevano fatto, in realtà, l'11 febbraio del 2011...): ha ricevuto 15 miliardi di dollari da Arabia Saudita e altre monarchie “amiche” del Golfo. Perché? Perché i generali hanno deciso di far fuori i Fratelli musulmani, strategicamente accorto o meno che sia come passo. Gli egiziani hanno visto un dollaro di questi miliardi? Garantisco di no. E la rivoluzione? Soffocata, grazie anche a quel regalo. Tutti quei soldi sono in realtà serviti a soffocare la rivoluzione, per quanto deraliata, disorientata e confusa che fosse. La ricetta è: blindare una classe politica e tenere al guinzaglio un intero popolo. Come? Con i danee.

Vanno di moda le democrazie basate sul portafoglio. È il primo (e non scritto) articolo di una Costituzione globale che viene esportata dentro la carta regalo dei diritti universali, dello sviluppo sociale ed economico, della parità fra i generi, dell'educazione, eccetera. Andrà a finire così anche in Ucraina, perlomeno all'inizio, che finisca sotto l'ala protettrice di Mosca o quella dell'Occidente. L'impressione è che quel mare di soldi (per quanto urgentemente necessario all'Ucraina) finirà coll'annegare l'energia del Maidan, gli slogan della popolazione, la vitalità della rivoluzione (sana) che è cresciuta da una rabbia autentica e covata troppo a lungo. Del valium somministrato nelle vene di chi oggi crede ancora in un cambiamento che porti il Paese, un giorno, all'affrancamento dai padroni, qualsiasi essi siano. Esiste forse una sostanziale differenza dal restare o finire del tutto nella sfera d'influenza russa?

Direte: sei un pessimista, vedi nero. Giuro che non è così, che mi scappa quasi da ridere. Non rido (in realtà non mi viene davvero) per rispetto dei ragazzi ucraini che ho conosciuto e che apprezzo tantissimo per la loro intelligenza, il loro coraggio e la capacità che hanno di inventarsi la vita ogni giorno: senza lamentarsi, credendo invece fermamente al senso che l'impegno e la messa in gioco di sé danno alla nostra vita. Soprattutto, quando rischi di perderla. 

martedì 4 marzo 2014

Come il tedesco in giardino.

© 2014 weast productions
Premesso che non capisco un accidenti di geopolitica, di politica e di tutto quello di cui bisognerebbe capire per pronunciarsi sulla crisi ucraina, dico uguale e dal terreno quello che mi è passato per la testa, che tanto il mondo non ne risentirà.

Le urla scandalizzate che provengono dalle cancellerie occidentali mi ricordano (lo ammetto subito: è un condizionamento inevitabile della mia mediocre biografia) le voci agitate che si alzavano dalla piazza del paese di Astano, che nelle sere d'estate era abitata (qualcuno direbbe “occupata”) da arzille signore e tuttavia in età. Dopo cena, ben nutrite e piene di un'energia che in ora più tarda non avrebbero potuto altrimenti (e non senza rimpianti) smaltire, commentavano la giornata appena trascorsa. Lo facevano alzando la voce, più spesso addirittura urlando. Al punto che io, che ad Astano trascorrevo la villeggiatura (si diceva ancora così), mi allarmavo, e agitatissimo concludevo il peggio, anzi onestamente ci speravo, mi auguravo l'orrido da guardare con la mano aperta sugli occhi spalancati, come poteva fare un pischello che si poteva permettere (anagraficamente) tutto il lusso di questo mondo di credere che la fantasia superi la realtà. A casa la televisione non c'era (proibita), lavoravo quindi di immaginazione. Pensavo che fosse successo un disastro. Un fatto di sangue. Che si fosse consumata una vendetta improvvisa e terribile (ad Astano gli abitanti avevano – sottolineo avevano – il sangue caldo). Magari. E invece: nulla di tutto questo. Le “vecchiette” (la Isa, la “Pepa Tencia”, l'Elvira e altre) commentavano trascurabili (geopoliticamente parlando) fatti di cronaca locale, diciamo pure delle breaking news paesane, ma dal loro punto di osservazione erano centrali, vitali. Sempre, o quasi, riguardavano, questi commenti urlati (editoriali di paese, analisi di piazza), vicende che avevano come protagonista un “furestee”, un forestiero, insomma un qualche (quasi sempre) tedesco in villeggiatura. Al quale piaceva, nella maggior parte degli scandali consegnati a tutto il paese dalle non propriamente esauste corde vocali delle vecchiette, prendere il sole nudo o insomma se non proprio nudo del tutto, poco ci mancava. Il resto ce lo metteva la fantasia. Per come andava allora il mondo. E per come va ancora oggi. Le mie (adorate) vecchiette davano vita ogni sera a un teatrino che aveva come protagonista l'ipocrisia. Una tenerissima ipocrisia a quei tempi e nel Malcantone. Ma pur sempre di ipocrisia si trattava. Perché quel tedesco (semi)nudo che girovagava per un vigneto o prendeva il sole in giardino, la cena non gliela faceva di sicuro restare sullo stomaco. Anzi: dava, a tutte le commentatrici, un curioso e ostinato appetito che durante il resto dell'anno stranamente non avevano, quasi a preoccuparsene, a chiederne conto al “dutur”, che ad Astano arrivava il giovedì. Soltanto il giovedì.

Ecco, per farla breve, il ponte gettato verso la delicata situazione in Crimea e Ucraina. Che ho deciso di spiegare partendo da una memoria malcantonese, con tutto il profondissimo rispetto verso questa crisi. Le immagini parlano più delle parole. Non credo, pur capendoci zero, che tutto il fracasso diplomatico che si sta alzando sia davvero ancorato a radici genuine e sane. Penso che nessuno abbia provato spontanea sorpresa di fronte alle truppe russe in Crimea, così come le “mie” vecchiette non si sono mai sentite sul serio scandalizzate alla vista del tedesco in giardino. Se lo aspettavano: le cancellerie occidentali Putin in Crimea, le vecchiette di Astano il forestiero in giardino. All'uno e all'altro, fatte le debite proporzioni, viene (veniva) destinato l'auspicio di una chiarificazione. Il “furestee” malcantonese riverberava (come uno specchio investito dal sole) il desiderio non spento delle astanesi in piazza di essere sottratte (strappate, con la forza, con i muscoli, anche con una insospettata ma controllata e controllabile brutalità...) ai ritmi ripetitivi e noiosi di una vecchiaia che faticavano ad accettare (in verità: anche a sentire). Il Presidente russo fa una cosa simile (chiedo scusa per un paragone che non intendo suggerire direttamente) con le cancellerie occidentali. Le sottrae all'incrostamento alle quali si erano consegnate, al punto tale da credere che la Russia non esistesse più. O, qualora esistesse, fosse riconducibile a una guerra dichiarata e combattuta in nome dei diritti delle Pussy Riot e degli omosessuali. Sulla classica collina le truppe occidentali vittoriose avrebbero allora issato con elasticità e con le mimetiche appena sudate la bandiera con l'arcobaleno o un reggiseno. Tanto per intenderci: è una battaglia legittima e che va benissimo, è anzi auspicabile (su entrambi i fronti, di diritti fondamentali si tratta). Ma, combattuta così, non serve davvero le cause alle quali sostiene di dedicarsi, anzi le indebolisce. Politicamente, la Russia non può essere ricondotta soltanto a questo: Pussy Riot e arcobaleni. E ce lo sta dimostrando, con il linguaggio (per quanto superato, ma dobbiamo sempre giudicare?) che fino a poco tempo fa tutta l'Europa (fatta qualche rara eccezione) ha sempre parlato. E che, per essere onesti fino in fondo, l'Occidente continua a parlare (con i suoi attori principali e con le sue comparse) su altri scenari del mondo: Afghanistan, Iraq, Siria, ecc. Abbiamo la memoria corta. E trattandosi di popoli lontani, che spesso hanno anche una religione (maggioritaria) diversa (ci dimentichiamo però facendo i furbi di quella minoritaria, uguale alla nostra), non ci scomodiamo a urlare come facevano le vecchiette di Astano. E come fanno ora le cancellerie occidentali. Il tedesco (semi)nudo di Astano risvegliava, togliendole di dosso lo strato degli anni, la carne delle astanesi in piazza. La mossa di Putin in Ucraina/Crimea risveglia il senso della politica nelle cancellerie occidentali. La politica vera. Non quella incarnata dai tentativi, dagli esperimenti, dall'improvvisazione, dal “vediamo che effetto che fa”. È un risveglio brutale, senza filtri, senza raggiri. Con gli stivali dei soldati che sanno di piedi, così come il tedesco in giardino sapeva (certamente) di sudore, cotto com'era dal sole.

A farne le spese sono gli ucraini, che sono un popolo intelligente e raffinato nel ragionamento e nel giudizio. Precipitato dentro un gioco che l'Occidente ha cominciato a giocare, convinto (o forse nemmeno convinto) che sarebbe bastata qualche mossa per vincerlo. Non importava il gioco, non importavano i giocatori, importava vincerlo. Così come ci si è accontentati di tre Pussy Riot e di qualche bandiera con l'arcobaleno, di qualche siparietto a Sochi per concludere che Putin lo abbiamo messo in ginocchio. Tradendo, in questo modo, le cause sacrosante delle Femen e dei gay in Russia. Ma la politica è un'altra cosa. Credo, senza capirci nulla, che la presenza delle truppe di Putin in Crimea voglia ricordare all'Occidente soprattutto questo: che la politica è un gioco duro. Che non si fa in piazza la sera, urlando ai quattro venti uno scandalo inventato, addirittura dissimulando il compiacimento che ne deriva: ad Astano era da ridere, ma in politica è pericoloso. Tutto questo cela, sotto sotto, il pensiero che non poteva (e non doveva) andare diversamente. Peccato, davvero, che a farne le spese sia il popolo ucraino. Se ci sta davvero tanto a cuore, perché non andiamo a difenderlo? A liberarlo? Portandoci dietro tutto l'arsenale bellico che in Occidente abbiamo a disposizione. Ce lo fanno pagare, a che cosa serve? Un giornalista britannico ha scritto, in un Tweet di ieri, approssimativamente, che serve “a buttar giù bombe lontane”. Aggiungo: bombe sulla testa di chi non avrà mai la voce per farsi davvero sentire o perlomeno per convincerci di essere uguale uguale agli ucraini. Dimenticate tutto: mi sbaglio garantito.  

sabato 1 marzo 2014

"Diario no news". Sul canale Youtube di Weast TV.

© 2014 weast productions
Weast TV ha pubblicato sul suo canale Youtube il primo video del Diario no news dall'Ucraina. Visibile cliccando QUI.