Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 26 dicembre 2014

Basta questo.

Dove sei stato? Dove. Vuoi. Che. Sia. Stato? Cosa vuoi che dica... Che ti dica?

Dai un'occhiata alla vita, che magari ci azzecca, a fari spenti, quando ci scorre davanti: che meraviglia, meglio di un antibiotico, dei raggi X, di una boccata di nicotina (iiiinaaaaaaaaa), di una tac (aaaaaaacccc), di un pettegolezzo (zzzzzo), di due balle scambiate al bar (rrrr), di quattro proiettili di cecchino (iiinooo), di un'anamnesi (iiii), di trecento morti (ooorrrtttiiii), di cento amori nuovi (uuuooooviiiii),  di tutte le strepitose strategie che metti (tu) in piedi per darle un senso. A chi, sorry? Alla vita, okay? Okay. Come dire a un gioco di prestigio. Eco: iiigio. 

Dove sono stato? Non sono mai stato altrove. Mai da una parte diversa da quella che sia il tuo meraviglioso scorrere. Vita. E non tirartela, ora che te lo dico. Continua a dare spettacolo. Non è che ti chiedo (che ti chiediamo) molto di più. Fatti vedere. Basta questo. 

(c) 2014 weast productions

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venerdì 19 dicembre 2014

Il senso del taccuino.

© 2014 weast productions

Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Il sipario e l'attesa". Qui di seguito il (consueto: maledette parentesi, immancabili anche sotto Natale!) estratto:

In particolare il tonfo del laptop sulla strada, risucchiato dalla gravità che grazieadio non la tradiva mai, le procurava un brivido di esausta soddisfazione che col tempo, curiosamente, non era scemato. Tutti gli altri schianti, dai CD alla Playstation, a qualche (va detto: raro) libro, avevano, col passare del tempo e con il ripetersi di questo disperato rituale, generato un senso di lontana indifferenza. Le sembrava di avere la testa dentro una nuovola. Non, però, quando il laptop finiva a pezzi. Quello costava, lei lo sapeva bene, considerato che, detto per inciso, lavorava come programmatrice per una ditta che produceva computer. Questi sono dettagli e - dice - “non ho voglia di annoiarti”. A volte bisognerebbe mettersi ad urlare per ringraziare la vita: che per quanto ci possa dare del filo da torcere, sa anche aprire il sipario, quando ne ha voglia. E quando meno ce l'aspettiamo. Anzi, no: quanto più le chiediamo di farlo. La vita sta al gioco e manda il segnale convenuto: un leggero rumore di cavi tirati e di rotelle che si mettono in moto. L'aria è soltanto mossa dal telo di stoffa rosso scuro, se guardi bene riesci a cogliere anche una quasi non percettibile agitazione della polvere, per strada se sei per strada, al coperto se sei al coperto. Ovunque.  

venerdì 5 dicembre 2014

Il senso del taccuino.

© 2014 weast productions
Domani, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Un pezzo di vita insieme". Qui di seguito il (consueto: maledette, parentesi!) estratto:

Le era piaciuto quel momento. Lui l'aveva guardata e lei, ossignore, adesso cosa faccio. Teneva gli occhi incollati sui guanti rosso acceso che stringeva nella mano sinistra, stringeva e stringeva quasi volesse prendere se stessa per il collo e con la bocca a due centimetri dalla propria bocca urlarsi addosso di non fare come tutte le altre volte, quando il cuore aveva cominciato a batterle fooorte, davanti a un uomo che forse avrebbe potuto essere quello della sua vita, se soltanto non l'avesse buttato fuori subito, ad essere precisi nemmeno lo aveva fatto entrare nella sua vita, girando sui tacchi (ah, le piacevano le scarpe con i tacchi, davano un ritmo alla sua camminata), anzi sussurrando, prima di girarsi, un “ciao” che sapeva di paura. Perché paura? La stessa che le si materializzava in quell'istante nello stomaco, attraversava i polmoni e si allungava, annidandosi per finire nella gola, proprio lì quando si trattava invece di parlare, di dire almeno una mezza frase. Le toglieva le parole, la forza di pronunciarle, la voce. Forza, ragazza, non ora, non questa volta. I suoi occhi si staccano dai guanti, gettano la zavorra e finalmente liberi da un peso estraneo si mettono in movimento.


domenica 23 novembre 2014

Le parole. E le immagini.


Lunedì 24 novembre alle 19.00 presso Lo Spazio Taborelli a Bellinzona avrò il piacere di essere ospite per una serata dal titolo "Le parole della realtà e la forza delle immagini". Racconteremo storie e avventure, parleremo del mondo e delle sue immagini e andremo anche un po' controcorrente: non guasta mai. Chi è interessato è gentilmente invitato a segnalare la propria presenza chiamando la Libreria Taborelli allo 091 826 24 25. Seguirà una cena (per interessati, importante prenotare). Se non avete caricato il cellulare, provate a passare lo stesso. Vi aspetto. 

venerdì 21 novembre 2014

Il senso del taccuino.

© 2014 weast productions / gianluca grossi

Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Parole cucite addosso". Qui di seguito il (solito: e dagli con la parentesi!) estratto:

Esce dall'abitazione di un parente (il marito di una sorella) alle 8.30 di mattina. Nella mano sinistra regge una borsetta femminile che stona con il suo passato di passionaria della sollevazione popolare siriana; nella destra, si era già intuito, tiene una tazzina: dentro c'è del caffè solubile, fuori il disegno di un Babbo Natale che fugge col sacco dei regali. Osservata da lontano, e senza conoscerla, è una macchia nera in avvicinamento, e uno potrebbe anche chiedersi, ipotizzando due ben distinti orientamenti esistenziali all'origine della domanda, “Dio, che cos'è?”, oppure “Chi è questa?”. Una domanda più articolata sarebbe già stata spazzata via dalla sua andatura, soltanto a prima vista lenta e distratta, in realtà decisa e mirata. Mirata al negozietto della stazione di Schwerzenbach: sigarette. Due pacchetti, meglio andare sul sicuro. Esce dal negozio, posa la tazza su un muretto, cerca l'accendino nella borsetta e ispira il primo fumo della giornata. La voce le esce stracarica di vita lasciata alle spalle. Di avventure. Pericoli scampati. Amici morti ammazzati. Sogni infranti. Idee, tuttavia, chiare. Una voce roca. Profonda. I giorni e poi i mesi e gli anni trasformati in minuscole schegge di vetro che hanno lasciato il segno. Asmahan. 

domenica 9 novembre 2014

Benvenuto, doc!

© 2014 weast productions / gianluca grossi

© 2014 weast productions / gianluca grossi
Ce l'ha fatta, il dottor Abdel Malik Al Fannad. La notizia mi è appena arrivata. È a Monacao di Baviera. Un posto niente male se paragonato a Mohassan, da dove è fuggito, località schiacciata dallo "stato islamico".  Ne avevo scritto il 25 ottobre sulla Regione, quando era ancora nei boschi della Macedonia, messo male. Avevo raccontato per la prima volta la sua storia in Silenzio: si muore, QUESTO reportage di Falò (RSI) dalla Siria, un anno e qualcosa fa. È una buona notizia. Se lo fanno lavorare, in qualche ospedale in Germania, ci saprà fare, dopo quello che ha visto, quello che ha fatto e dopo le condizioni nelle quali ha visto e fatto tutto quanto costituisce la sua vita più recente. Benvenuto, doc!

venerdì 7 novembre 2014

Il senso del taccuino.

© 2014 weast productions / gianluca grossi

Domani, sabato 8 novembre,  nel Senso del taccuino sulla Regione: "Il matto e la radiolina". Qui di seguito il (solito, ma perché lo metto fra parentesi?) estratto:

I cani erano entrati nel villaggio con una camminata storta e stralunata. In pochi ci avevano badato, era mattina presto e la giornata andava preparata, anche se sarebbe stata uguale a tutte quelle che l’avevano preceduta. La vita non concedeva variazioni e forse era un bene. Con il trascorrere delle ore, erano giunti altri cani, lerci e con la faccia da bastardi. Eppure, c’era dell’altro, se uno si prendeva il tempo di osservarli, prima di lanciargli una pietra o prenderli a bastonate. Era la paura. Quei cani avevano paura. E non scappavano, anche quando a furia di sassi e botte i loro corpi scheletrici e appuntiti sanguinavano. Si erano riuniti nel centro del paese: una banda di impostori con i denti aguzzi ma zero forza in corpo per usarli. Qualcuno si leccava le ferite, altri stavano immobili sulle zampe piantate nel terreno, a malapena capaci di reggere un corpo che non pesava quasi più nulla, ferri arrugginiti e storti. Il quadro suggeriva la ritirata e l’attesa. Una squadra di accattoni che si erano inventati una strategia per tirare a campare e rimediare una schifezza da mettersi nello stomaco. I bambini tornavano da scuola. Le donne preparavano il pranzo. Gli uomini erano nei campi. Alcuni erano rimasti a casa, pigri e invecchiati troppo presto. 

venerdì 24 ottobre 2014

Il senso del taccuino.

(c) 2014 weast productions / gianluca grossi
Domani, sabato 25 ottobre, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Un chirurgo (di guerra) nella foresta". Un estratto, come al solito:

Quattro giorni prima della scena all'aeroporto, c'è una fotografia. Scatti e la porti a casa. C'è una donna china su un letto nel mezzo di una stanza improvvisata: attorno, i muri grigi di una casa non terminata, le finestre senza vetri, stantufi che pompano aria fredda. Sul letto c'è un uomo grosso, ancora forte. Ridotto, però, a un bambino che non parla. Capisce, dice la donna, che è sua moglie, per capire capisce. Forse. Fatto fuori da un ictus, roba di un anno fa. Sono fuggiti tutti, la moglie, i tre figli, da un villaggio vicino alla città di Sinjar, Iraq. Fuggiti dall'esercito dello Stato islamico (IS). L'uomo si chiama Khader Amar Bekri. Lo hanno portato via su una sedia a rotelle, poi caricato su una macchina, quando ce n'era una, poi di nuovo spinto a piedi, sulle montagne, poi in Siria, per finire a Ba’adra, villaggio nell'Iraq del nord non occupato dagli estremisti dell’IS. 

martedì 21 ottobre 2014

Facce da profughi.

Facce da profughi in un giorno di pioggia battente. Avvitate sopra corpi messi su autobus. Corpi spostati causa condizioni insopportabili dalle tende ai supermercati in costruzione o alle aule delle scuole. Tutti insieme: musulmani, cristiani, yazidi. Iraq, ottobre 2014. Lo riscrivo: 2014. Non serve a niente uguale. Come se il trascorrere del tempo (e della Storia) dovesse per davvero insegnarci qualcosa. E invece il mondo è PERFETTAMENTE assente sul fronte della crisi irachena (e siriana) dei civili in fuga dallo Stato islamico. Assente. Invisibile. Non c'è. C'è qualche tenda con il logo dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite, tirata fuori da una cantina polverosa, per il resto niente. Zero. Niente tironi dell'aiuto umanitario, forse quattro gipponi blindati contati in tutto sulle strade (quelle sicure, non quelle che ti fanno sudare quel sudore che sa di stress, tensione e paura, e che ti mette addosso un odore che sa di chimica, un odore strano). Stanno tutti zitti, anche quelli che solitamente parlano e parlano e parlano e che quando si trovano un microfono a portata di mano non te lo restituiscono più, glielo devi strappare di mano. Silenzio. I profughi puzzano, meglio starci alla larga.

Non qui, non per noi. Spazio a tutte queste facce da profughi. Che ci raccontino le loro vite.

© 2014 weast productions



© 2014 weast productions

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© 2014 weast productions

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© 2014 weast productions

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© 2014 weast productions

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domenica 19 ottobre 2014

Impazzite di paura.


(c) 2014 weast productions / gianluca grossi
(c) 2014 weast productions / gianluca grossi
Due donne, due vecchie amiche. Sole dentro un ripostiglio dell'oratorio della chiesa caldea di San Giorgio in una città dell'Iraq che non ha più abitanti. Si erano nascoste lì e lì le abbiamo trovate. La città, tutt'attorno, silenziosa da mettere paura. Occupata fino a pochi giorni fa dalle milizie dello stato islamico, è stata liberata dai peshmerga curdi. È una città vicina al fronte come un respiro lo è all'altro: è il fronte. Sono uscite da un incubo, vive. E sembrano impazzite: per la paura e la solitudine. Chiedono acqua. Acqua e basta. La loro storia ve la racconterò presto in TV.

giovedì 16 ottobre 2014

Facce che ti guardano.

(c) 2014 Weast Productions / Iraq. 

(c) 2014 Weast Productions / Iraq.


Ci sono facce che ti guardando. E tu non sai più cosa dire. Arrivi addirittura a dubitare dell'idea che tiene in piedi la tua vita, quella che tu racconti la vita degli altri perché è indispensabile farlo. Non se sia giusta o sbagliata, questa idea. Ti chiedi a cosa serva. Ti dici che il tuo lavoro DEVE potere cambiare anche la vita degli altri, altrimenti meglio lasciare stare. È una fatica senza fondo. Queste facce da profughi che ti guardando in una tappa del tuo viaggio verso la linea del fronte, quello che morde e fa male, quello cattivo. Sono loro a consolare te, a dire che è la cosa giusta da fare. La forza che queste facce che ti guardano ti danno, chiede, mi pare di riuscire a concludere, che ci mettiamo, noi, la stessa forza per tirarli fuori dai casini. Se si può scrivere così, restando dei reporter. O magari anche no. Soltanto testimoni. Che va ancora meglio.  

venerdì 26 settembre 2014

Il senso del taccuino.

Domani, sabato, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Il viatico del vecchio". Qui di seguito il consueto estratto:

Da qualche parte giunge il ronzio di un grosso insetto. È il cellulare. Lo schermo manda un segnale luminoso verso il soffitto. L’insetto insiste. Alle tre di notte la realtà fatica a strapparci dal sonno. Perché chiamano sempre a quest'ora? Vivono alla rovescia. Di giorno sopravvivono, di notte pensano e discutono, consumando centinaia di sigarette e litri di tè. Qualcuno sta chiamando dalla Siria: possono essere soltanto loro. Pronto? “Come stai?”. La voce è subito riconoscibile e se non sapessi che chiama da fuori Mohassen, a una mezzoretta da lì, potrei scambiarla per quella di uno in vacanza sotto il sole. Quando non hai via d’uscita dalla vita che fai, ti adegui. La prendi per buona. È la sola che hai. C'è una strana cosa, capita a tutti: ascoltiamo qualcuno, al telefono, o seduto di fronte a noi, e i nostri pensieri se ne vanno, viaggiano, recuperano immagini registrate tempo fa, ricostruiscono addirittura gli odori, una stretta di mano, uno sguardo. “Pronto, ci sei, mi senti?”. Ti sento e ti vedo. Sta chiamando dalla centrale della compagnia telefonica siriana. È una costruzione rettangolare, bassa, sul tetto ci sono diverse antenne. Quando vogliono telefonare, lui e tutti gli altri, vanno lì, perché il segnale è più forte. Telefonano, parlano, fumano e bevono tè. La mattina li sorprende ancora nel sonno. Dal quale escono lentamente, quasi per dare il tempo alla realtà di presentarsi con una faccia diversa. Non funziona mai, ma loro ci provano sempre. 

sabato 20 settembre 2014

Basta un click.

© Massimo Pacciorini-Job

© Massimo Pacciorini-Job

© Massimo Pacciorini-Job

© Massimo Pacciorini-Job

© Massimo Pacciorini-Job
Tutte le immagini dell'inaugurazione di "evidence" con le fotografie di Andy Rocchelli cliccando QUI.

giovedì 18 settembre 2014

Il nome su un disco.

© weast productions 2014
C'è il suo nome su un disco, un hard drive: Andy. Basta questo. Contiene una parte del suo lavoro. Il nome è scritto su carta autoadesiva, in tutta semplicità, ma così in grande da far capire quanto tiene, chi questo nome lo ha scritto, alla persona che lo portava. Andy Rocchelli. Il disco è dentro una scatola, a SpazioReale. Dove insieme, tutti insieme, abbiamo preparato l'esposizione che giovedì 18 settembre presenteremo alla stampa e venerdì 19 alle 18.30 al pubblico. Che invitiamo a partecipare, presso SpazioReale a Monte Carasso. 

martedì 16 settembre 2014

In giro per il mondo.

A SpazioReale ci stiamo avvicinando al giorno dell'inaugurazione della nuova esposizione e della pubblicazione del primo numero della collana dedicata al fotogiornalismo, edita in collaborazione con Salvioni Edizioni e disponibile presso SpazioReale e in libreria. Inaugurazione di evidence, con le fotografie di Andy Rocchelli, venerdì 19 settembre alle ore 18.30. Alcune foto, qui di seguito, dell'allestimento dell'esposizione. Un lavoro al quale teniamo moltissimo e che ci riempie di soddisfazione, dedicato ad Andy e a tutti i reporter caduti fotografando, scrivendo e filmando in giro per il mondo.