Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 20 dicembre 2013

Mi viene da dirti.

Mi viene da dirti che è come ogni anno quasi
Natale.
Quasi perché anche quando sarà,
non sarà uguale.
E non è per le balle che raccontano,
per le finte che fanno
e rifanno.
E ci fanno.

Non è per le prediche
appese a messe vuote e senza senso e senza
umanità. Senza il 
dolore.
Tutta roba 
che ci aspetta, 
come ogni anno.
Non è per le buone intenzioni
manifestate come resti di santi.
Per le messe in scena.
Di cui sorridevamo tutti insieme,
per qualche secondo appena e
soltanto,
dedicandoci poi ad altro.
Agli altri, di cui tu mi chiedevi:
come vivono? Come
stanno?
Come vivono queipovericristi?
Come sopravvivono?
Quei cristi di poveri esseri di cui raccontavo
la vita. Nelle mie povere storie,
fra una pubblicità e l'altra.
Fra una faccia sorridente
e l'altra.
In mezzo, clandestina e sola:
la vita.

Tu
ascoltavi. L'ascoltavi. E
diventava tua.
La tua vita.
Pure. Tutta. Senza argini.
Assorbita.
La portavi dentro, e io capivo.
Ritornando a casa,
intero,
ogni volta.
Anche questa volta.
E quell'altra, ancora.
La luce nei tuoi occhi,
nel constatarlo.

Oggi dammi un attimo, qualche giorno ancora,
mi chiarirò le idee,
metterò a punto un pensiero,
mi verrà in mente una frase che tenga,
che abbia un senso.
Due parole che non siano
mai
state dette.
Per quanto sia difficile prometterlo.
E dirle.
Saprò farlo.
O forse no, nel rumore che c'è tutt'attorno.
Due parole che tu attendi.
Sapendo, da tempo, che le ho già dette.
A te.

Me ne hai lavato di sangue
dal naso. Cristo ti ricordi?
Da ragazzo.
E a mio fratello. 
La vita, vedi,
fa quello che vuole.
Io, uguale.
Come ora, ad ora tarda,
che ti scrivo. Perché sei.
Sei senza fine. 
A costo di prenderne
di botte. Dalla vita.
Per come è se ci metti dentro il naso.
Ancora e sempre. 
Ma tante da farmi il naso gonfio.
Gonfio anche dal ridere
per i povericristichesiamo
e non cambiamo mai.

Da fumarci sopra una sigaretta
come facevamo
sul balcone
quando tornavo a casa.
Un'ora buona a fumare.
Buona per una sigaretta.
Che poi una non era mai.
Due. Tre. O metti anche quattro. 
Tu che facevi fumo. Fumo e basta.
Mandalo giù, mamma,
quel cristo di un fumo.
E tu niente: punge!

Fumavi la tua sigaretta
che poi, non ancora spenta,
compiva nel vuoto
una miriade di piroette
lanciata,
come avesse una missione da compiere,
dalle tue mani che mandavano luce.
Dal balcone.
E poi un'altra ancora.
Insieme.
E ridere.
Ridere sul serio.
Insieme.




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