Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

mercoledì 20 marzo 2013

La consapevolezza resistente.

(c) 2013 weast productions / g.g.

L'uso di armi chimiche in Siria rappresenta per Gran Bretagna e Stati Uniti, una "red line", un discrimine, una invalicabile linea rossa. Che dovrebbe delimitare due spazi: ciò che sta di qua e ciò che sta al di là di questo artificioso e arbitrario confine. Dopo il presunto attacco con un non bene identificato gas ieri (martedì 19 marzo) nei pressi di Aleppo si sono alzate (non tante) voci preoccupate, da Washington a Londra. Non si capisce nemmeno bene che cosa farebbero, le due capitali, nel caso in cui questa linea venisse oltrepassata. Probabilmente la stessa cosa che hanno fatto finora: stare a guardare. Guardare, ad esempio, la storia di Saddam Al Hammad, nato nel 1981, cittadino di Mohassan, nei pressi di Deir Ezor, Est della Siria. E' tornato a casa così, lo stesso giorno in cui l'ho fotografato: si è fatto quasi due anni di carcere per avere partecipato alle proteste pacifiche a Deir Ezor. Lo hanno rilasciato, insieme ad altri prigionieri, in cambio di un generale catturato dall'Esercito libero siriano. E' tornato a casa con il fisico devastato. Per le torture, che descrive con precisione oggettiva. E per le condizioni di detenzione, dentro celle affollate da decine di persone quando lo spazio è appena sufficiente per due o tre. Parassiti e infezioni hanno divorato la pelle di Saddam. I piedi, ancora gonfi, portano i segni delle torture e delle bruciature. La posizione in cui è stato fotografato è quella che i prigionieri erano costretti a tenere nella cella. Tutto questo sta al di qua della "red line". Quindi è tollerato da Washington, Londra e da tutte le altre cancellerie. Tutto questo - lo so dalle interviste che ho condotto con altre persone - veniva praticato in Siria ancora prima dell'inizio delle proteste nel marzo del 2011. Andava bene a tutti: si sapeva, ma si stava zitti. E ancora oggi si sta zitti. Perché è un abisso che si spalanca al di qua della frontiera che ipocritamente la politica - la Realpolitik - ci chiede di accettare. Rifiutare questa ipocrita visione non dico del mondo, ma della vita, è la sola e indispensabile testimonianza di consapevolezza resistente di cui ci possiamo fare interpreti. Di cui dobbiamo farci interpreti.

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