Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

sabato 23 marzo 2013

Giornalista, ma senza tessera.

(c) 2013 weast productions / g.g.


Okay, I am out. Respiri e stai da dio. Le immagini ci sono. Tu ci sei, pure. Massimo qualche ora dopo, non vedi l'ora di ritornarci. Nel mio caso è la Siria, ma è uguale per qualsiasi altra parte del mondo dove si muore. E si sopravvive. E si combatte. E si fanno anche tante cazzate. In nome della libertà, da una parte. In nome di che cosa, dovrei dire della dittatura? Della dittatura, va bene, dico della dittatura intesa nel senso ormai del male minore per alcuni siriani (ma senza che il confronto sia mio), dall'altra parte. Qualcuno dirà "l'adrenalina". Palle. Non c'è solo questa, che scorre a fiumi, garantito. Altri diranno: l'avventura: se fosse tutto raccontabile (senza compromettere la complicità di aiuti indispensabili, voglio dire), ce ne sarebbe - garantisco - per un film, anche e forse soprattutto questa volta. No: è che ti senti vero, ti senti te stesso soltanto quando capisci che potresti anche non sentirti più, nel senso di non esserci più. Da un momento all'altro. 
Voglio scriverlo pubblicamente, per quel poco che conta e per quel nulla che interesserà i lettori: ho deciso di disdire la mia tessera di giornalista. Sono affiliato a Impressum attraverso l'Associazione ticinese dei giornalisti. Ricevo regolarmente delle mail verbose in cui si annunciano sedute plenarie dedicate a una infinità di trascurabili superficialità burocratiche, messaggi in cui si parla un linguaggio che non capisco, lontano dal mondo e dalla realtà. Ricevo un sacco di trascurabili parole che non hanno nulla a che fare con il giornalismo. Con la realtà. 
Disdico la mia affiliazione all'albo dei giornalisti paganti perché è anche questa stampa (per carità, tutta, non solo quella domestica, diciamo ticinese ma non solo, elvetica, vai...) a recare la responsabilità cospicua di ciò che si sta consumando in Siria. Una stampa che ha abdicato al suo dovere meraviglioso. 
Voglio ricordarlo: quando, a partire dal marzo 2011, iniziarono a giungerci le immagini delle manifestazioni pacifiche da Deraa, da Deir Ezor, Homs, Hama e da altre città Siriane, quando i video amatoriali girati da giornalisti cittadini coraggiosi iniziarono a mostrarci l'esercito siriano che sparava sulla gente disarmata in protesta, che cosa ha fatto la stampa pagante? Ci ha messo un bel sottotitolo, a queste immagini: "non possiamo verificare e garantire la veridicità e l'autenticità di queste immagini". Come a dire: sono inventate. Li abbiamo scaricati, i giovani pacifisti della Siria. E oggi siamo dove siamo: siamo a quello che ho visto. Con tutti - molti, okay, confratelli, a cercare ora l'islamista radicale, il figlio di O.B.L. fra i giovani che si sono ritrovati fra le mani un'esistenza rotta e un Kalashnikov. E gli altri, e la maggioranza? Ecco la censura. L'autocensura.
Bene: ho pubblicamente detto (scritto) quello che penso dei vari organismi internazionali e i loro interpreti con la febbre della ribalta (non mi sembra di avere risparmiato nemmeno l'ONU, la Svizzera) e ora mi dissocio dalla categoria pagante dei giornalisti. Così come mi sono sempre (ed è verificabile) dissociato dal sottotitolo di cui sopra: "immagini non verificabili". Ho sempre detto: se non potete verificarle da seduti, andateci di persona, cristo.... 
Avessi trovato, in una delle tante mail che ricevo dall'associazione dei giornalisti a cui sono iscritto, una frase (una sola) che indicasse una riflessione sulla responsabilità della stampa (anche della nostra) circa il disastro siriano, avrei potuto ripensare alla mia decisione ormai presa. Ci avessi trovato anche soltanto una frase di solidarietà con i ragazzi (e le ragazze) che ogni giorno mettono in rete decine e decine di minuti di documentazione dei combattimenti e del sangue che scorre (da entrambe le parti, va detto), avrei frenato, capito. 
Non l'ho trovata. Lunedì 25 marzo mi dissocerò, ufficialmente, con lettera raccomandata. Per rispetto delle persone che ho incontrato. La cui storia puoi davvero soltanto raccontare se sei libero: dalle mail, dalla burocrazie e dall'amnesia disinvolta che ha preso chi, invece, all'occhio dovrebbe stare. Non importa a nessuno, okay. O forse mi sbaglio?

2 commenti:

  1. Un gesto significativo, di dissenso. Contro un'informazione sempre più fine a stessa e lontana dal riportare la realtà nella sua interezza. Incapace di conferire la giusta priorità alle notizie. Negando quanto questo possa rappresentare, per molti , una via di salvezza. Indifferente nei confronti di coloro che mettono a repentaglio la propria esistenza , per affermare il principio di un giornalismo vero, che indaga e ci restituisce la verità dei fatti.
    Mi auguro che abbia la giusta risonanza e sia il principio di una lotta. Fuori o dentro , non importa.
    Buon lavoro

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  2. Continua Gianluca...continua pure...chi ti legge se ne frega se sei iscritto o meno!!!!

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