Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

domenica 24 febbraio 2013

I tuoi scatti, Olivier.

Olivier Voisin

Fotoreporter, indipendente. E' morto oggi in seguito alle ferite da mortaio riportate giovedì in Siria, vicino a Idlib. Fotografava con occhi diversi, con uno sguardo diverso. Credo che per questo motivo non appartenesse a nessuna agenzia. Mandava i suoi scatti sperando che qualcuno li prendesse. Significa questo essere free lance. In una lettera inviata la sera prima di essere ferito alla giornalista italiana Mimosa Martini e che io leggo sulla versione francese di Huffington Post, scrive: 

Je fais les photos et je suis même pas sûr 

que l'afp les prennent.


Questo è un giornalista libero: fa le cose innanzitutto
perché sente di avere il dovere di farle. Successivamente 
dovrà convincere qualcuno a pubblicargliele, le sue cose. 

Provo una tristezza immensa. Il senso di vuoto che si aggiunge al vuoto che questo lavoro comunque ti lascia dentro. Anche se continuiamo a scherzarci sopra, a spararle grosse quando ci troviamo per caso in qualche albergo, davanti a un whiskey o a una birra. Una tristezza immensa. 

La lettera di Olivier può essere letta QUI. È stupenda e fa male. 





mercoledì 20 febbraio 2013

Il colonnello sepolto vivo.

(c) 2013 weast productions


Mohammed El Ghanam resta in carcere. Rifugiato politico in Svizzera, ex funzionario del Ministero degli Interni egiziano, è in regime di internamento nel carcere di Champ-Dollon (Ginevra) dal 2007. Il Tribunale federale ha respinto (12 febbraio 2013) il ricorso di El Ghanam contro la decisione della Corte di Giustizia del Canton Ginevra (21 agosto 2012) che confermava il suo internamento.

La vicenda di Mohammed El Ghanam, che ha quasi 60 anni, è un caso umanitario che la Svizzera ha deciso di ignorare. La sua storia è stata raccontata in un documentario di Weast Productions trasmeso da Falò (RSI 1). Potete vederlo o rivederlo cliccando QUI.

Il 14 novembre 2012, il Consiglio federale, rispondendo a una interpellanza di Oskar Freysinger, aveva scaricato il barile sul Canton Ginevra. Dal Cairo, i Fratelli Musulmani, oggi al governo, dopo essersi detti impazienti di fare uscire di prigione l'egiziano internato (definendo la sua incarcerazione un “crimine”), hanno altro a cui pensare. E, fra questo altro, figura sicuramente il contenzioso con la Confederazione circa il tesoro della famiglia Mubarak che Berna ha congelato, ma non ancora restituito. Attende una sentenza definitiva della giustizia egiziana.

Nel frattempo, un team di medici è riuscito a incontrare Al Ghanam in carcere e a stendere un rapporto sulle sue condizioni di salute (fisica e mentale): resta molto preoccupante. Stando alle fonti di Weast Productions e Faccia da reporter, le autorità ginevrine starebbero cercando di individuare un “istituto psichiatrico sicurizzato” nel quale (de)portare al Ghanam, in modo tale che possa “beneficiare” (le virgolette sono ironiche) delle cure che, nel carcere di Champ-Dollon, non riceve.

El Ghanam è ritenuto, sembra di capire anche dal Tribunale Federale (che si trincea dietro cavilli giuridici per non intralciare il diktat della Giustizia ginevrina), pericoloso per la Svizzera e la società. Chi in passato lo ha visto in carcere lo definisce un “fantasma”. Chi ha ricostruito la sua storia, ha molti dubbi sulle reali motivazioni della "sepoltura" in vita di El Ghanam. Quindi, per entrambe le ragioni (pericolo pubblico, complotto?), l'egiziano resta dietro le sbarre; e continuerà ad essere sotto chiave anche quando/se si dovesse trovare una clinica psichiatrica ben protetta (dall'interno: no way out per lui) nella quale ricoverarlo.

Un'ultima cosa: El Ghanam viene giudicato malato di mente (affetto da mania di persecuzione): in sostanza e in soldoni incapace di intendere e di volere. A questa presunta menomazione la Giustizia del Canton Ginevra riconduce tutte le sue prudentissime (ma inflessibili) decisioni. Il Tribunale federale accolla invece a Mohammed El Ghanam costi processuali di soli 800.- franchi. Tenuto conto, però, non della sua mania di persecuzione (che renderebbe la misura inapplicabile, un ossimoro, essendo il soggetto incapace di pienamente intendere e volere), ma della sua “situazione finanziaria” (pagina 8 della sentenza). Siamo svizzeri. Fino in fondo. 


venerdì 15 febbraio 2013

Il senso del taccuino.

Domani nel Senso del taccuino, sulla Regione: "Stringimi, ti racconterò di me".

Il (solito) assaggio:

Stringimi. Per dirlo ai miei muscoli, alle mie ossa. Reggi il mio corpo strappato alla rabbia e alla violenza. Anche se puzzo di gas, di terra bruciata e un po’ di sudore, accidenti, non ci voleva, non oggi, ma tu: stringimi. E dimmelo, ancora, senza aprire bocca, che mi porterai via di qui. Io, fra le tue braccia, precipito in un sonno che si appesantisce, mentre cerco (ma la cerco davvero?) una via d’uscita dalla nebbia che mi toglie i sensi. Spero, mezzamorta quale sono, che il tempo ci ripensi e si faccia lento: una preghiera. Si smarrisca, anche lui, per una volta, fra queste strade che abbiamo scelto per nasconderci dai candelotti fumogeni e dalle pallottole, dai manganelli e gli scarponi. Dai poliziotti. Dal potere. Stringimi e non deludermi. Hai fibre d’acciaio, le sento: non lasciarmi ora, non per terra, che sa di sangue e vomito. Ecco, tirami un po’ su, verso di te, fammi sentire il cuore che batte, i polmoni che urlano cercando l’aria che si fa rara. Io mi lascio cadere un altro po’ in questo mondo fatto di silenzio e di nausea che ci sparano addosso. Ci vogliono, tutti, appoggiati ai muri o piegati in due, in ginocchio, la bocca sull’asfalto: a vomitare. Una generazione che vomita. Così ci vogliono.  

(c) 2013 weast productions

domenica 10 febbraio 2013

War is over.

Una squadra fotografica di Weast Procutions è stata sguinzagliata fra la folla che ha preso d'assalto Bellinzona in questa giornata - domenica 10 febbraio 2013 - di corteo carnascialesco. Riporto, qui, qualche immagine. La prima: due giovani, straordinari, con un cartello ciascuno, ridondante nella consapevolezza che non basterà mai: "War is over". La guerra è finita. Mi piacciono infinitamente. La creatività è dissidenza. Il resto delle immagini (ciò che esprimono) lo sono pure. La stampa (locale, locaaaale....) ci fa vedere sempre le solite cose. Noi, invece, no. Noi mostriamo la dissidenza: la resistenza. A carnevale la trovi. Anche se, nelle foto, il carnevale non lo vedi davvero. Significa che cova, la dissidenza: fra la gente (non certo fra i carri allegorici...). È, nel suo piccolo, una buona notizia. Sotto tutti gli aspetti. (Diritti fotografici riservati, 2013 weast productions).




























La forza e le immagini.

Il fotografo britannico Jiles Duley è tornato in Afghanistan. Due anni fa un IED gli aveva strappato un braccio e una gamba. Jiles è tornato per fotografare. Faccia da reporter aveva sostenuto la campagna per aiutare Jiles a tornare a una vita vivibile. Oggi, che ce l'ha fatta, gli auguriamo di andare avanti e continuare ancora a lungo a fare il suo lavoro di testimone. L'articolo - apparso oggi, domenica - che racconta il suo viaggio in Afghanistan lo potete leggere QUI.

sabato 9 febbraio 2013

Caro Christopher, eccetera.

Caro Christopher Hitchens: che ti porto nella memoria, nel Kindle, nello zaino con i cavi, le due Nikon e tutto il resto. Anche oggi. Alla notizia di una corte egiziana che ha deliberato di oscurare Youtube per un mese, dopo che il portale si è rifiutato di cancellare quella enorme cazzata di video sul profeta Maometto che, qualche mese fa, ha fatto sparlare i media e montare su tutte le furie qualche musulmano. Anche oggi, Christopher, ti rileggo: i passaggi sottolineati, con quello che, di volta in volta, avevo sotto mano: una matita, un sasso che lascia il nero sulla pagina, lo sporco che mi tolgo dalla faccia quando sono in giro. Il titolo, già citato (quante volte?) in questo blog e altrove: dio non è Grande. E le tue riflessioni per spiegare come “religion poisons everything”. La religione avvelena la vita. E il ragionamento degli esseri umani. Non la fede, non quella, non il credere a un dio o a più di uno, credere ai morti, ecc. No, la religione. Religione come assoggettamento. Prendi questi esempi: la corte in Egitto, i Fratelli musulmani in Egitto, la situazione in Tunisia, la giovane ragazza violentata a Colonia a cui due cliniche cattoliche della città hanno rifiutato la “pillola del giorno dopo” (che agisce quando l'ovulo non è ancora stato fecondato, appunto: per evitare che ciò accada), con la litania insopportabile nella quale si sono malamente e disumanamente fuse le richieste pronunciate dai rappresentanti del clero cattolico tedesco di “aiutare” la ragazza, di volerla prima – PRIMA? - “consigliare”.

Vedi, è un niente e siamo tutti dentro lo stesso catino: loro (musulmani) e noi (cristiani, cattolici nella fattispecie, ma non c'entra). Lo stesso atteggiamento. Nel mio piccolo, ho fatto questa pensata.

Rivoluzioni arabe: al potere sono finiti i partiti di ispirazione religiosa. Controllano una parte della società attraverso le preesistenti organizzazioni caritative, di assitestenza, ecc. Questi gruppi (e poi partiti) hanno sempre sostenuto un'idea guida: la soluzione è nella religione. Giunti al potere, botta pazzesca: dio sembra insfischiarsene. Della disoccupazione, delle quotazioni in borsa, delle esportazioni, del Fondo monetario internazionale, della democrazia, di tutto. Oddio. Che fregatura. E ora? Ci incazziamo, di brutto. Se dio se ne infischia significa che non ci stiamo comportando bene, che ignoriamo le sue richieste: magari non gli piace la democrazia (c'era, ai tempi in cui è stato annunciato, questo dio?). E allora, vai di manganello (e ben peggio). Tutti in riga, per piacere a qualcuno che esiste soltanto nella nostra testa. Se dio esistesse davvero, non ci starebbe dentro, troppo piccola.

Il nostro dio (Occidente): vedi l'esempio della Germania (ragazza violentata). E' soltanto uno. Ci vantiamo della nostra vissuta separazione fra Stato e Chiesa (maiuscolo per capirci). Bugie. La chiesa (minuscolo, per capirci) è ovunque. Ovunque. La chiesa e la religione. Non la fede, che, di nuovo, specifico, è su un piano diverso, intimo, personale. La religione avvelena la nostra vita: perché è espressa (nella più parte dei casi) da esseri umani che non c'azzeccano. Perché ne siamo imbevuti, inconsapevolmente, e molte decisioni le prendiamo e molti giudizi li pronunciamo sulla base di questa per molti (troppi) sopportabile ubriacatura. Non è filosofia. Non è etica. Non è morale. Queste chiedono e richiedono una testa lucida. La religione, no.

Caro Christopher Hitchens, torno a proporti come lettura, indispensabile. Vitale. Visto che anche nel mio modesto mondo (quello dei giornalisti) è in abbondante circolazione il veleno della religione, che altera (senza ammissione, senza sottopancia, senza niente) una visione del mondo proposta come oro colato. E già che ci sono (e visto che ormai tu non ci sei più, terrenamente parlando) suggerisco anche un'altra lettura, il tuo Mortality. Poche pagine: dove il lettore trova la tua confessata fede nell'essere umano. Meglio di questa, vuoi mettere?