Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

mercoledì 23 gennaio 2013

Vuoi mettere una sigaretta...

(c) 2013 weast productions

Vuoi mettere una sigaretta. Vuoi mettere una sigaretta dopo un dolce gustato insatantapace e strafatto di panna. Vuoi mettere una sigaretta davanti a un caffè lungo e nero che è come uno specchio che ti sbatte addosso tutta la vita. E fa male, ossignore se fa male. Tuo figlio missing in action nella Guera Con una R Sola Dei Sei Giorni e per cosa?, per niente; tua moglie che se l'è portata via un cancro; la figlia, l'ultima, quella sposata giovane con un signor marito, morta di parto, come un fiore strappato da un bambino che non sa ancora distinguere fra crudeltà e amore; il nipote, venuto al mondo come tutti e poi (allah, allah, allah...) finito in mano a quelli che sparano e che sparpagliano pezzi di corpo in giro per il mondo, quelli che non sanno scrivere ma conoscono internet, quelli che gli mandano contro l'apoteosi di dio in tera (sì, con una R sola, anche questa) perché bastardi nati sono e basta, e vai a capire se è davvero e soltanto così. Vuoi mettere una sigaretta e vuoi mettere - anjad - quella voce che dice al tuo sangue di versarsi nel lavandino per lasciare il posto a lei: Fairouz. Lei che ti scorre dentro come una preghiera, di quelle che nessuno altrimenti sa recitare. E io lo posso dire, vecchio come sono, pieno d'ossa che fanno rumore, io che le conosco le preghiere. Vuoi mettere una sigaretta. E la Signora, a cui escono parole e note che - aspetta un attimo... danno un senso alla vita? Mumken. Dentro il caffè che ti guarda come uno specchio spietato, vedi il suo volto di donna e ti nasce la sua voce nelle cellule rinsecchite di vecchio babbeo, ooooh come ti nasce vecchio mio: dolce come la notte di Beirut. Pericolosa come Beirut. Strafottente come Beirut. Vuoi mettere una sigaretta e una canzone - una sola - di Fairouz che fa polmoni-cuore-cervello-povero-corpo-di-vecchio-messo-male in pochi secondi: gustate, entrambe, sigaretta e canzone, come fossero anni da vivere. Da strappare a chi te li sta contando. Gli anni che ti restano. Che poi sono soltanto quelli che hai già vissuto. E che fai finta di vedere nel caffè. Hai soltanto il fumo come amico, quello che ti danza davanti agli occhi, povero vecchio pieno di musica. Il fumo, wallah, è il solo a cui puoi rovesciare addosso l'accusa di averti offuscato la vista. Tolto, in un certo senso, e diciamo, il senno. E comunque: vuoi mettere una sigaretta. E vuoi mettere Fairouz. Terrena. Disperatamente terrena. Gli altri, quelli che contano, quelli se ne sono andati prima, sono ormai qui, tutt'attorno. Veri come sanno essere loro. Vuoi mettere. Davvero. E soltanto per un attimo, strafatto di dolce e di nicotina in un caffè che sa di Oriente. Ancora. E per grazia ricevuta. Non da dio. Si capisce.

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