Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

lunedì 28 gennaio 2013

Per passione. E per amore.


(c) 2013 weast productions


Ho ricevuto questa mail da uno studente liceale, di cui per correttezza (non gli ho chiesto il permesso, vedi un po' che tipo...) non dirò nome e localizzazione geografica. Siamo, tuttavia, nella Svizzera italiana. Una terra che qualcuno (nelle "alte" - e si fa per dire - sfere dell'industria mediatica locale) definisce "priva di talenti giornalistici" (sentito con le mie orecchie....). Lo fa per ignoranza, pigrizia e troppo colesterolo. Sbagliando, gravemente. Credo, nel profondo, alla possibilità e alla necessità di lavorare sui talenti, sulle promesse o semplicemente su chi manifesta curiosità nei confronti della professione del giornalista e del mondo, del mondo, del mondo, del mondo! La professione preferisco chiamarla del reporter. Molto più esplicita nella indicazione di finalità. Portare agli altri ciò che uno vede. Perfetto. Meraviglioso. Mozzafiato. 
Ecco: dalla Svizzera italiana mi arriva (ed è un esempio soltanto) questa mail. La prendo sul serio e a cuore, la richiesta che questo studente formula. Ridicolizza, con assoluta trasparenza, i trascurabili argomenti di chi, precedentemente citato, preferisce non vedere. Perché non sa riconoscere. 

Questa la mail (in data 27.1.2013)

buonasera,
il mio nome è XXYY e attualmente
sto frequentando il corso passerella al liceo di XXYY.
un anno fa prima di iscrivermi a questo corso, per poter poi accedere alle
università, mi sono chiesto cosa volevo farne della mia vita.
mi sono trovato a pensare di aiutare la gente in vari modi, e quello
che mi trasmetteva più passione, e forse che mi esaltava di più,
era la strada del reporter, dal momento che sono sempre stato affascinato
dai giornalisti, dagli inviati esteri.
Ho quindi optato per l'anno passerella,
dicendomi che avrei pensato in futuro che studi intraprendere.
ora quel momento è arrivato, e spererei in un suo consiglio, la mia
idea iniziale era di studiare scienze della comunicazione e storia contemporanea,
temo però che cosi facendo avrei una "struttura" senza un contenuto. oppure
relazioni internazionali, dove avrei un contenuto ma anche il timore di allontanarmi
 dall'obiettivo finale. lei cosa ne pensa?
spero vivamente che possa trovare il tempo di rispondermi ((ecc.))
cordiali saluti

La mia risposta

La tua mail qui, sul blog. Perché credo interessi molti giovani 
che mi seguono. Prendi quello che sto per dirti come una opinione personale: non è oro colato. E discutine con amici, conoscenti e con i tuoi genitori. Ma soprattutto segui il tuo istinto, ciò che senti, dentro, essere la scelta giusta da compiere.
Non studiare scienze della comunicazione: non c'azzeccano con il giornalismo. Tempo perso. Il giornalismo è un'espressione del sangue, della carne, di ciò che,dentro di noi, fa che normalmente viviamo a 35 gradi punto 4, ma quando fai il giornalista sei sempre oltre i quaranta. Gli studi ti serviranno a strutturare il sapere, a metterti nella condizione di cogliere i collegamenti che tengono le cose che vedi nel mondo e del mondo. Segui la tua indole, ma non studiare qualcosa in funzione del giornalismo. Studia per piacere. Sono anni straordinari. Studia per amore. 
Si dice: "giornalisti si nasce". E' vero. Nasciamo tutti giornalisti. Tutti curiosi del mondo. Poi, con il passare degli anni, le defezioni si fanno sempre più numerose. Abbandonano coloro che sentono di doversi dedicare a un mestiere diverso, altrettanto importante, anzi: probabilmente più importante. Resta, invece, chi, nella carne viva, porta la bruciatura della curiosità per ciò che vedi, semplicemente. Continuerà a scendere, profonda, dentro, sempre più a fondo.
Un giornalista è uno ossessionato: dal desiderio di esserci, dove il mondo accade (vicino o lontano, non importa), dalla irresistibile voglia di vedere e capire. E, soprattutto, un giornalista è divorato dalla necessità del racconto. E' ciò che, della sua esistenza (breve, lunga...), alla fine resterà: un appassionato, instancabile (o quasi) racconto. Buona fortuna a te.  

sabato 26 gennaio 2013

The way it works.

(c) 2013 weast productions (la fotografia è stata scattata in Somalia)

L'agenzia stampa AP, che (come un po' tutti i poli dell'informazione) ha la sua visione del mondo, i suoi interessi, i suoi padroni e le sue zavorre ha prodotto un dispaccio dal Mali che vale la pena condividere e leggere. Partiamo, chiaramente, dal presupposto che sia tutto vero. E tengo a precisare che sto citando e rinviando al lavoro di altri e che non si tratta di una testimonianza che posso rivendicare mettendo i miei occhi sul fuoco, l'unico strumento di lavoro di cui mi fido (gli occhi). Detto questo, ecco una nuova (nuova?) "brutta sorpresa", nuova perché viene da una parte del mondo nella quale l'Occidente ha deciso di portare peace and democracy. I bambini e la guerra. Ci sono anche loro. Ma non potevano starsene a casa, giocare con un bastone di legno e una rotella di latta o di filo di ferro, come siamo abituati a vederli e a fotografarli? Proprio un fucile dovevano imbracciare? E adesso, che fare? Un drone occidentale (francese, magari, o preso in prestito) sarà capace di fare la cernita? Adulti armati di qua, bambini armati di là? Sui primi si spara, sui secondi fermi tutti. Un caccia Eurofighter o d'altra fattura, fiondato nel cielo a quanto all'ora, li vedrà, li registrerà come bambini? O invece... Vedi la guerra... Che garbuglio. Sarebbe quasi da dire: fermiamo tutto a questo punto, stiamo tutti dalla parte dei buoni, non si fa, non si rischia. Si fermeranno? Io, non credo. E allora? Da che parte stiamo davvero? Si può stare, quando si fa una guerra, davvero da una parte? Pensare che sia, comunque, quella buona? Esistono, ancora, in una guerra, delle parti? E, nella consapevolezza di questo sospetto, come è possibile dire, a posteriori, non lo sapevamo? Cercare, a posteriori, torti e ragioni il cui discrimine abbiamo, di nuovo a priori eppure quando già ne avevamo sentorevolontariamente e consapevolmente (il secondo avverbio è il più importante) annacquato? Aspetta, ho di meglio: ignorato? Fatto finta di ignorare? Le domande sono queste. Il resto è, semplicemente, the way it works. Inteso: il mondo. Il dispaccio AP lo trovi QUI.
Che sia anche (o senza anche) per questo che la chiamano, ora (ma Faccia da reporter lo aveva fatto da subito, tiriamocela...) una "war without images"? Perché lo è, perché la vogliono così? Clicca QUI. Per un aggiornamento vai QUI.

La realtà è come la guardi (da leggere dopo Revolutions 2.0)

Lettura interessante, anche questa, della stessa realtà. Tuttavia, impostata meno in senso comparatistico, più in una prospettiva occidentale. Interessante per questo. La realtà è come la guardi. Per leggere clicca QUI.


(c) 2013 weast productions

Revolutions 2.0


Una lettura storicamente comparata delle rivoluzioni arabe. Ciò che ha attraversato l'Europa per arrivare al presente e ciò che stanno attraversando loro, gli arabi. Il nostro sangue versato. Il loro sangue versato, e quello che verrà. Gli arabi, che tanto ci piace definire incapaci di democrazia (it's so easy), stanno forse producendo ai nostri occhi lo specchio del nostro passato. Dimenticato. O non insegnato. O semplicemente trascurato. Oh, yes... Per leggere clicca QUI.

(c) 2013 weast productions

venerdì 25 gennaio 2013

For your eyes only.

Per chi ha voglia di immagini, questo week-end (e non soltanto), SpazioReale propone le sue dritte per lo sguardo. Gli aggiornamenti in tempo reale su Twitter @SpazioRealeInfo.


giovedì 24 gennaio 2013

O sordo, o in ritardo. O pace in terra.

Su Twitter ho scritto "Finalmente!". Qui dico che se un sordo improvvisamente giura di sentirci, o è un miracolo (ai miracoli non credo) o prima sordo non era. Probabilmente, nel caso in questione, soltanto cronicamente in ritardo (eufemismo). Leggere QUI e QUI. Se sei interessato ai furbetti del quartiere, clicca QUI. Per capire che cosa significa living under drones (sito e studio già segnalati da Faccia da reporter alla loro comparsa) clicca QUI. Questo post è un modo, come un altro, e nel piccolo, di fare resistenza a chi parla dei droni soltanto dalla prospettiva dei loro piloti che-non-siedono-a-bordo e a chi, nei vari ministeri della difesa (e purtroppo anche nelle redazioni della stampa cosiddetta libera), li definisce dei salva vita. Quella dei soldati, si capisce. Mai dei civili. E pace in terra, come recentemente mi ritrovo a dire sempre più spesso. Non perché ci creda. Al contrario. And so on...

Avant de faire dodo...

Per chi è interessato al tema Islam/islamismo/i, secolarismo/i, ecc. un consiglio di lettura, QUI.


The same old story.

La solita, vecchia-come-il-mondo storia. Qui

mercoledì 23 gennaio 2013

Vuoi mettere una sigaretta...

(c) 2013 weast productions

Vuoi mettere una sigaretta. Vuoi mettere una sigaretta dopo un dolce gustato insatantapace e strafatto di panna. Vuoi mettere una sigaretta davanti a un caffè lungo e nero che è come uno specchio che ti sbatte addosso tutta la vita. E fa male, ossignore se fa male. Tuo figlio missing in action nella Guera Con una R Sola Dei Sei Giorni e per cosa?, per niente; tua moglie che se l'è portata via un cancro; la figlia, l'ultima, quella sposata giovane con un signor marito, morta di parto, come un fiore strappato da un bambino che non sa ancora distinguere fra crudeltà e amore; il nipote, venuto al mondo come tutti e poi (allah, allah, allah...) finito in mano a quelli che sparano e che sparpagliano pezzi di corpo in giro per il mondo, quelli che non sanno scrivere ma conoscono internet, quelli che gli mandano contro l'apoteosi di dio in tera (sì, con una R sola, anche questa) perché bastardi nati sono e basta, e vai a capire se è davvero e soltanto così. Vuoi mettere una sigaretta e vuoi mettere - anjad - quella voce che dice al tuo sangue di versarsi nel lavandino per lasciare il posto a lei: Fairouz. Lei che ti scorre dentro come una preghiera, di quelle che nessuno altrimenti sa recitare. E io lo posso dire, vecchio come sono, pieno d'ossa che fanno rumore, io che le conosco le preghiere. Vuoi mettere una sigaretta. E la Signora, a cui escono parole e note che - aspetta un attimo... danno un senso alla vita? Mumken. Dentro il caffè che ti guarda come uno specchio spietato, vedi il suo volto di donna e ti nasce la sua voce nelle cellule rinsecchite di vecchio babbeo, ooooh come ti nasce vecchio mio: dolce come la notte di Beirut. Pericolosa come Beirut. Strafottente come Beirut. Vuoi mettere una sigaretta e una canzone - una sola - di Fairouz che fa polmoni-cuore-cervello-povero-corpo-di-vecchio-messo-male in pochi secondi: gustate, entrambe, sigaretta e canzone, come fossero anni da vivere. Da strappare a chi te li sta contando. Gli anni che ti restano. Che poi sono soltanto quelli che hai già vissuto. E che fai finta di vedere nel caffè. Hai soltanto il fumo come amico, quello che ti danza davanti agli occhi, povero vecchio pieno di musica. Il fumo, wallah, è il solo a cui puoi rovesciare addosso l'accusa di averti offuscato la vista. Tolto, in un certo senso, e diciamo, il senno. E comunque: vuoi mettere una sigaretta. E vuoi mettere Fairouz. Terrena. Disperatamente terrena. Gli altri, quelli che contano, quelli se ne sono andati prima, sono ormai qui, tutt'attorno. Veri come sanno essere loro. Vuoi mettere. Davvero. E soltanto per un attimo, strafatto di dolce e di nicotina in un caffè che sa di Oriente. Ancora. E per grazia ricevuta. Non da dio. Si capisce.

martedì 22 gennaio 2013

Metafisica dei collant.

Ciao!
Ehi...
E poi: cristo, la calza! Dove, dove se l'era smagliata? Le era balzata all'occhio improvvisamente, con violenza: uguale all'idea che cambia i destini della medicina, i percorsi della scienza, le certezze della meccanica. Noooo... Sulla gamba destra poi, su quella fatta meglio, quella che si slancia meglio, LA gamba... No, no, no. Rovinata. Sfregiata. Doveva essere successo uscendo dalla macchina, certo, dopo aver litigato con quel cafone che le voleva soffiare il parcheggio e c'era pure riuscito. Come una furia, ecco, si era catapultata dal sedile ormeggiando la vettura in sosta vietata, imprecando contro quello sfigato borioso che l'aveva fregata. Ed era sparito. Nel nulla.
L'avesse rivisto gli avrebbe fatto vedere lei, una botta si prendeva, dritta sul naso, di quelle che ti ricordi. Minimo questo. 
E, ora, al rallentatore: stessa scena. 
Cccciiiiiaaaaaooooo.
Eeeeehhhhiiii.
Oddio. Ma è lui! Lo sfigato!
Senti un po', bello, vieni qui!
Dici a me?
No, a mia nonna!
Prego, cara?...
Cara una fragola!
Smash....
Silenzio. Totale. E subito dopo, lui con un naso grande come una patata da Guinness.
E lei, dentro, intimamente parlando dentro: sto di un bene, ma di un bene, ma di un bene!
Trascorrono dieci secondi: si toglie una calza. E poi l'altra, quella oltraggiata. E' a piedi nudi, sul marciapiede gelido. Vede il patata con il naso in mano, semipiegatoinduecontroilmurodiunacasa. Non mossa da pietà, bensì da senso del dovere e della giustizia fa tre passi, nudi, anch'essi, gli si avvicina e gli passa la calza attorno al collo. Le collant abimé, si capisce. Le pauvre. Stringe il nylon (fosse stata seta ci avrebbe pensato forse una volta...) fino a soffocarlo o quasi. A farlo pentire di quel parcheggio rubato. Amaramente. Senza dubbio: amaramente. 
Il freddo le avvolge le gambe. Ora. Mentre si rifà viva, a missione compiuta, e riacquista colore e fiato. Voglia di vivere, si direbbe. E di piacere. I tacchi sono il metronomo di una giornata che prometteva male e invece! Invece guarda: guarda come mi guardano. La destra... La destra fa miracoli, nel suo stendersi sereno, leggermente muscoloso, conturbante. E minaccioso. Tutto, ma non un parcheggio. Non un collant... 

lunedì 21 gennaio 2013

Here I am: leggere Tim.

In uscita, a marzo, un volume su Tim Hetherington: Here I am. scritto da Alan Huffman. Per saperne di più clicca QUI.

sabato 19 gennaio 2013

Free James Foley. E tutti gli altri.

Faccia da reporter sostiene la campagna Free James Foley in nome, anche, di tutti gli altri giornalisti imprigionati o missing in action nel mondo. James è stato fatto prigioniero in Siria e il suo destino è ignoto. Per saperne di più clicca QUI. Per ricevere aggiornamenti su Twitter segui @freejamesfoley, @gianlucaweast, @weastnews e @SpazioRealeInfo. Per firmare l'appello che chiede la sua liberazione clicca QUI.

venerdì 18 gennaio 2013

Il senso del taccuino

Domani 19 gennaio nel Senso del taccuino sulla Regione: Carla, venga via con me...

Un estratto:

Che brutta sorpresa la guerra. E che brutta sorpresa constatare che non risparmia nessuno. Nemmeno i bambini. Il mondo, spesso, dipende da come lo guardi. Proviamo a spostarci: che bella sorpresa una guerra che risparmia i bambini. Peccato che non esista, che non sia mai esistita. E che bella sorpresa una guerra con i cattivi che fanno i cattivi, i buoni che fanno i buoni, i proiettili che vanno a buon fine e le bombe che uccidono sempre e soltanto quelli che se lo meritano, con i criminali che si fanno arrestare e gli eroi che si lasciano celebrare. Peccato che non esista nemmeno questa. Eppure, ci stanno provando di nuovo: a spiegare che è possibile fare pulizia dentro una guerra. Per renderla guardabile e tollerabile. Per convincerci, all’ora di cena, che la colpa è tutta degli altri e mai nostra e che al mondo, purtroppo, nell’anno in cui siamo, c’è ancora chi ci prende gusto a scannare il suo prossimo per vedere l'effetto che fa. Ci stanno provando con la Siria.

mercoledì 16 gennaio 2013

Carla, do you copy me?

(c) 2013 weast productions / Giovane siriano nella provincia di Aleppo 


Lo sapevo: lo avrebbe rifatto. E ridetto.
Gentile signora Carla Del Ponte, le parole sono come i proiettili: lasciano il segno. Non puoi metterti a sparare a destra e a sinistra pensando di colpire nel vuoto, sempre. E nemmeno ti puoi aspettare che qualcuno ti dia della tiratrice scelta se colpisci sempre gli obiettivi sbagliati.
Qualcuno mi ha segnalato la sua intervista al TG 20 di questa sera. L'ho vista, in qualità non proprio buona, ma a più riprese, e tutta.

Lei parlava della Siria. E io non ci sto. E mi spiego.

Partiamo dal quadro generale: lei sta creando, cara Carla, una cortina fumogena sinistra e insidiosa. Dalla sua descrizione (prima risposta, subito all'inizio, le risparmio il time code) emerge questo quadro: lei è rimasta sorpresa (sorpresa da una “brutta sorpresa”) che i bambini “sono coinvolti in questo conflitto armato”. E aggiunge che “fino ai dodici anni li usano come messaggeri”. Bene. Chi li usa? I siriani? Gli arabi? I musulmani? Il governo? Gli insorti? Altri? Lei aggiunge: “a partire dai dodici anni sono allenati alla guerra, sono preparati per fare la guerra”. Okay. Chi li prepara? I siriani, gli arabi, i musulmani? La CIA, i servizi britannici, i sauditi, il Qatar? L'Iran? Chi?

Voglio partire da un presupposto: che lei sappia di che cosa sta parlando e che lei conosca (almeno un po') il Medio Oriente. E allora ci dica, per cortesia, chi sta preparando questi bambini alla guerra. Alle otto di sera non può sparare a zero senza aspettarsi fuoco di ritorno. Ebbene, cara Carla, il fuoco di ritorno è il mio. Affidato alle parole e al ragionamento, si capisce.

Nella prima risposta alle domande, lei ha prodotto un quadro – voglio usare un eufemismo – orientalista, ma del peggior orientalismo. Lei ci sta proponendo l'idea di un popolo (quello siriano) che sacrifica i propri figli senza battere ciglio. E, ciò facendo, prende la scorciatoia abbandonando il percorso dell'argomentazione fattuale, razionale, investigativa e poliziesca alla quale dovrebbe ispirarsi perché è materia che conosce. Ci sta insomma dicendo che siamo di fronte a un branco di macellai. E siccome si tratta di arabi e di musulmani, credo che nessuno (e così è stato) se la senta di contraddirla, alle nostre latitudini. Non mi piace.

Andiamo avanti.

Lei ci ha raccontato un episodio che voleva, nella sua intenzione narrativa, toccante. E' venuto superficiale, maldestro, di uno scandalizzato piccolo borghese e perbenista. Ha detto (sintetizzo la versione letterale): ho visto nel campo profughi in Giordania un ragazzo di 13 anni che aveva perso una gamba. “E' incredibile come erano - (qui lei passa al plurale) - stati coinvolti, non è che si sentissero sofferenti, anzi erano orgogliosi di quello che avevano fatto. Quindi è incredibile perché sono molto, molto giovani”. Benvenuta sul pianeta Terra, signora Carla. La sua argomentazione ricorda un po' i miei esperimenti di biologia: al Liceo, senza capirci nulla, guardavo dentro un microscopio e poi mi inventavo una descrizione delle cellule a malapena osservate da consegnare al prof. Che inorridiva, regolarmente.

Troppa fretta, troppe scorciatoie (va bene i tempi televisivi, ma insomma...), troppa superficiale sicumera.
Le fornirò, in altra sede, la mia versione dei fatti, e spiegherò perché i ragazzini combattono in Siria (e non soltanto) e perché non siamo di fronte a dei macellai. Siamo di fronte, cara Carla, a esseri umani. I siriani non sono alieni, non sono i cattivi da bacchettare. Non sono allievi ribelli che si prendono a pugni davanti alla maestra.

Insistere, al punto in cui siamo, su una descrizione del mondo (quello!) diviso fra buoni e cattivi mette tristezza. Perché, vede, significa non ignorare (perché lei non lo ignora), ma tacere - e questo è grave, ripeto: grave - le responsabilità in campo, gli interessi, le spinte, le furbate, le canagliate, il mare di schifezza che produce una guerra e che una guerra produce. Mi sente?

Seconda domanda: lei ha chiesto, con i suoi colleghi, di entrare in Siria. E, ancora, siete fuori. Siamo seri: le rammento (riferendomi a un mio precedente post) che se lei desidera entrare in Siria lo può fare, come tutti i giornalisti, i medici siriani, i volontari che portano medicine e altri aiuti alla popolazione civile che tutti, inclusa l'organizzazione alla quale lei risponde, hanno lasciato soli. L-a-s-c-i-a-t-o  s-o-l-i. Se volesse entrare in Siria, lo potrebbe fare. Lo fa la CIA, lo fa il Qatar e lo fanno gli altri compagni di merende. Insanguinate. 

Lo fanno gli sponsor d'alto bordo di questa guerra, dear Carla, tutti quanti con le mani at first sight pulite, eppure lorde di sangue: siedono nello stesso organismo che, se non mi sbaglio (e se mi sbaglio sono pronto a rettificare, con le scuse sentite), la paga per la sua inchiesta. Potrebbe entrare, se tanto ci tiene, attraverso la ramina. Perché non lo fa? Perché si accontenta del campo profughi in Giordania? E perché, in questo stesso campo profughi, non registra (o se lo fa perché non ce lo dice?) i crimini commessi contro la dignità umana (dal sistema - occidentalmente tollerato - "campo profughi")? Perché non ci parla dei casi (sempre più frequenti e non soltanto lì) di violenza contro le donne, di cui pure qualcuno riferisce, anche se non connected to the UN, quindi vox clamans in deserto? Perché, scorrendo il dito sul mappamondo, non ricorda la condizione dei profughi siriani in Libano, in Turchia (le cliniche clandestine, le abitazioni segrete, la vita negli scantinati, i feriti lasciati lì per giorni interi e, se operati negli ospedali ufficiali, operati come animali e dimessi subito, perché un posto-letto costa, eccetera?). Come-on, Carla!

Perché i profughi, che lei dice di avere visitato (e non ho motivo di non crederle), dovrebbero tuttavia accontentarsi, stando zitti, della solidarietà mediatizzata delle ambasciatrici dell'umano sentire signore Angelina Jolie (Turchia) e Mia Farrow (Libano)? Rispondono, entrambe, agli ordini dell'organismo che l'ha incaricata dell'inchiesta. E' questo, solo questo, quello che sappiamo dare a questa gente? Non la mette, almeno un po', in imbarazzo. Just a little bit?

Indaghi, per inciso, anche sui crimini commessi contro la dignità umana. Noi giornalisti ci proviamo. Chi ci ascolta? Lo so, a lei non piacciono, i giornalisti. Rinvio, di nuovo, in un accesso di protagonismo, a un mio vecchio post, lo trova navigando nel Blog. Do you copy me, Carla?

Ritorno al mio ragionamento. Lei ricade nella trappola, che mi sembra la stia tenendo prigioniera dall'inizio dell'inchiesta (è comprensibile: l'organismo a cui lei appartiene è politicamente sponsorizzato e incatenato) e cioè che i crimini vengano commessi da una parte sola. Nell'intervista si è ripresa quasi subito, sollecitata con il velluto, spiegando che i crimini vengono commessi da entrambe le parti. Certo, senza aerei e armi molto sofisticate, ma probabilmente in altri modi.

Signora Carla, la legge la stampa? Si fida dei giornalisti? Non credo (rispondendo al secondo interrogativo), ma vede, circolano numerosi rapporti che le permetterebbero di aprire gli occhi su quanto sta succedendo in Siria. E su più fronti. Anche senza entrarci. 

Lei ragiona in termini di inchieste, tribunali e sentenze. Va bene, è il suo lavoro. Mi ricorda un commissario da film attaccato alle Marlboro: a furia di fumarne aveva tanta nebbia davanti agli occhi che non vedeva più la realtà che gli stava di fronte. Vedeva soltanto se stesso. E la realtà cominciava a inventarsela. Almeno in parte.

Tenga conto, Carla, che questa è una guerra, vera, come non la si vedeva da un pezzo. Ce n'è un'altra, in corso, in un paese che si chiama Mali, e che non ci lasciano fotografare e nemmeno filmare e nemmeno, aggiungo, raccontare. Una guerra occidentale. Qualche soffiata ci sta arrivando: sulle conseguenze patite dai civili, non soltanto per mano degli islamisti, ma anche dell'esercito regolare e delle bombe francesi. Niente? Non si indigna? Nessuna “brutta sorpresa”? Non ancora? Do you copy me, Carla?

E poi, saltando tutto il resto dell'intervista (la riprenderò altrove, per ragionare insieme a lei), mi ha colpito un fatto (nessuna "brutta sorpresa", in realtà): lei ha usato cinque volte in tre minuti l'aggettivo “incredibile” riferito alla realtà (parziale) di cui è stata testimone. Ora le chiedo: per lei, che sta cercando la verità, significa che “non ci crede”, che non crede a quello che ha visto e sentito, oppure che non ha altri aggettivi per definirla, questa realtà. Personalmente, propendo per la seconda ipotesi. E la capisco. Il Medio Oriente è una brutta bestia.

L'invito, cordiale ma fermo, è quello di continuare a scavare, a viaggiare: ma senza convogli, senza 4x4 blindate, senza guardie del corpo. Così, alla buona, in modo che nessuno la riconosca. Varchi la ramina. Se accettasse, cara Carla, mi piacerebbe seguirla. Insieme, alla scoperta di ciò di cui è capace l'essere umano. Non i siriani, non gli arabi, non i musulmani come maldestramente lei ha cercato di farci credere al TG. L'essere umano. Lui soltanto. Fatto questo, li mandi tutti all'Aja. Non avrà, da parte mia, alcun fuoco di ritorno.

La banalità del male si manifesta nel silenzio. Quando le parole sono a cuccia. Quando il nostro ego fa un passo indietro. Allora, gli occhi si spalancano su una distesa anonima e senza fine, popolata da esseri disperati. Rincorsi dagli incubi, dagli istinti, dall'odore del sangue, dalla voglia di libertà e dall'istinto di conservazione. E da chi li sa muovere, questi esseri umani, come marionette, con dentro la testa soltanto il rimbombo della corda pazza. Se le va la ramina, mi chiami, cara Carla. Io, l'aspetto.

martedì 15 gennaio 2013

Which way is...

Which Way Is The Front Line From Here? The Life and Time Of Tim Hetherington.

Sebastian Junger, scrittore e regista, dedica questo documentario a Tim Hetherington, fotogiornalista e cameraman ucciso da un mortaio in Libia nel 2011, con cui Junger aveva diretto e prodotto il documentario Restrepo (Afghanistan). Come recita il comunicato che accompagna il film "Tim Hetherington was always searching for the humanity within wartime conflict".
Ecco: cercare l'umanità dentro la sua negazione. Che è forse, anche, la sua più scatenata espressione.
Faccia da reporter vuole ricordare Tim, come atto di resistenza contro il giornalismo dilagante (ma NON è giornalismo) che usa le parole svuotandole della loro zavorra e le immagini derubandole della loro verità.
Per saperne di più sul documentario presentato al Sundance Film Festival clicca QUI



Metafisica della convivenza.

Ti ho detto che la bambina a scuola sono andata a prenderla io, io!, non la tata. Sono uscita anche prima da joga, per arrivare in orario. C'era la maestra che voleva parlarmi, che doveva. Perché? Perchééééé? La piccola sta facendo casino a scuola, che novità, ti assomiglia, la cresci tu! Sì, l'ho vista, la maestra, ma non mi sono fermata, le ho chiuso in faccia la portiera, cosa potevo fare, stare lì ancora mezz'ora e intanto il negozio mi chiude? Ho appena fatto a tempo. Io? Iiiio? No, caro, tu! Tu, tu e poi ancora tu! Le lasagne le volevi prendere tu, me lo hai giurato questa mattina sui corn flakes della bambina. Ricordi? Remember? Ocristocielo, ma allora lo fai apposta, mi vuoi malata, vecchia, vecchia prima del tempo, è questo che vuoi? Mivuoivecchia? Non posso, non posso portartela ora la bambina, non posso!, mi aspetta l'estetista, resta aperta mezz'ora in più perché siamo amiche, faccio le gambe e torno a casa. Faccio le gambe! Ho detto che faccio le gambeeee! Sei diventato sordo o non mi ascolti? No, non sono io, no, non ho le cuffiette, sì, ho il cellulare davanti alla boca, proprio davanti... Piccolaaaaa, lascia stare le mele! No, dicevo alla bambina, sta giocando con le mele. Oddio: hai visto, cosa ti dicevo, adesso chi le raccoglie? Senti, ora stai calmo e non mi urlare nel telefono che le ho piene, ti giuro, p-i-e-n-e! Ho detto che la porto con me dall'estetista! No, poi non torno subito a casa. E' da questa mattina che non vedo Lisa, le ho promesso che avrei fatto un salto in palestra a dirle ciao. Cosa? No, non sto appendendo, ho detto che passerò a salutare Lisa, in palestra. La cena? Avevi detto che la preparavi tu, la cena. Niente lasagne, niente cena. Rings a bell? Ti arrangi, caro... colpa tua. La prossima volta tieni fede alle promesse, o fatti un appunto. Ti stresso? Proprio oggi che l'ufficio è stato un disastro? E chi non ce l'ha una giornataccia in ufficio, sei il solo? No, oddiosanto, no, la custodia dell'iPhone me la sono scordata! L'ho scordata, scuuuusa, ma dove avevo la testa? No, no, non ricominciare con i rimproveri, che ne ho una collezione intera. Colpa mia, va bene, passerò domani, ora chiudono.
Piccola, lascia stare le bottiglie, nooo, le bottiglie nooo!!!! Vedi, cosa ti dicevo, mi tieni al telefono per ore e la piccola fa disastri. Le bottiglie, le ha rovesciate tutte, è un casino, ci sono vetri ovunque. Piccola, dai, vieni qui, che facciamo come papà: ce la filiamo. No, smettila di impicciarti, non la sto mettendo contro di te, per una volta le dico di imitarti, di diventare invisibile, come fai tu, di scappare, come fai tu! Contento? Coooosa, venire a casa subito? Ma... Mettiamo a nanna la bimba e cuciniamo due spaghetti come ai bei tempi, tu ed io? Tesoro, quando fai così lo sai che non resisto. Cena insieme, e poi... Seduttore... Pirata! Ma ti arrivo a casa con i peli sulle gambe, sei avvertito.... Fa niente? Cosa? Tanto c'è la partita alla TV e farai notte? Ma spaccati un femore, ecco cosa ti dico, stirati un muscolo! Piccolaaaaa, vieni, vieni dalla mamma: le bottiglie rotte le pagherà papà domani. Questa, questa e anche questa. Questa pure, già che ci siamo.

lunedì 14 gennaio 2013

Non chiedono altro spazio le mie immagini.

Sei in anticipo sul mio tempo.
Eppure:
comincio a capirti. Ciò che ho visto
sta nel giro agile
del respiro.
Non chiedono altro spazio
le mie immagini
senza peso. O quasi. Tu vuoi
che me ne accorga.
Proprio ora.
Mi pare di esserti
indifferente, mentre improvviso
un cambio vela
impacciato.
(Il vento sale di mezzo giro 
soltanto.
Scherza. Scompiglia le mie carte).
Sbaglio, e di nuovo.
Sono testardo, non mi arrendo - mi conosci.
Intravedo, da lontano,
la scia del segreto. A vista d'occhio, ora.
Dimmi pure. 
Che avrò altra sabbia
fra le dita? E quanto basta?
Saprò essere all'altezza:
assorbire
(per davvero), (fino in fondo)
la singolare odissea
dei cristalli.
Una collana. Ecco. 
Appesa al vuoto,
fra una parola e l'altra.

domenica 13 gennaio 2013

Amore a me tu non mi chiami più...

  • Prontoooo?
  • Ciao, sono io...
  • Ancora? Ti avevo detto di non chiamare...
  • Non ce la faccio, è più forte di me...
  • Ci vuole poco...
  • Mi manchi...
  • Tu, zero!
  • Daiiii...
  • Zero, ti giuro, zero...
  • Aaamoreee, non fare così...
  • Tu a me amore non mi chiami più, hai capito?
  • Elena, guarda, ti giuro che mi butto, mi butto da un ponte...
  • Magari... guarda, magari lo facessi veramente, magari avessi il coraggio di fare una cosa vera, per una volta, nella tua vita da calzino corto...
  • Elena, guarda, non mi fare incazzare....
  • Perché altrimenti che cosa fai, cerchi il ponte?
  • Amore, amore, amore, cristo sono uno straccio, non mi riconosco, non vivo più...
  • Aspetta, aspetta, arrivo...
  • Cosa?
  • Niente, non ti riguarda, sto uscendo.
  • Uscendo? Ma Elena, Elena, ma come fai in un momento come questo? Ce l'hai un cuore?
  • Oooh, ma sai che rompi, eh, ma rompi bene...
  • Elena, prendo la macchina e vengo sotto casa tua e poi non freno e mi schianto contro il muretto.... Voglio vedere se ti va ancora di uscire...
  • Guarda che se resti vivo ti faccio pagare i danni!
  • Iena, pietra, ghiaccio.... Macristocelhaiunanima? Elena, io la faccio finita!
  • E falla finita, falla finita, appendi e non farmi mai più sentire la tua voce da mezzasega...
  • Fiorellino, daaaai....
  • Amore, tesoro, folletto, patatina, bruscolina, vitamia, aaaanima...
  • Mi ammazzo, guarda, giuro che mi butto da un ponte, voglio vedere cosa dici, dopo!
  • Non ti sento, cosa sono questi rumori?
  • Amore, dai, sono al bar con gli amici, nientediche...
  • Stronzo. Ti porto io su un ponte!
  • Elena....
  • Bastardo, verme!
  • Elenaaaa...
  • Bugiardo, animale...
  • Ascolta, amoruccio, passo a prenderti fra un dieci minuti, poi usciamo insieme, tu ed io! Dai...
  • Cane!
  • Tesoruccioo.. Dai, salgo in macchina e arrivo... Lo faccio per te, per noi, per il nostro amore, per quello che provo per te, il nostro amore, Elena, il nostro amore....
  • Ti odio e di adoro...
  • Sciocchina... Dai, aspettami! Sai cosa? Porto anche Enzo, e poi c'è Paola, Rosa e Francesca. Dai, siamo già per strada.... A subito, ciao!

sabato 12 gennaio 2013

Metafisica dei ruoli.



Ascolta: scriverò ogni giorno.

Non c'è nulla di più normale
che sapere del tuo stesso profumo.
So dove trovarlo: sul collo di una lana,
in attesa dentro il mobile in ciliegio,
steso al sole di un oro tondo che portavi al dito,
ora messo a riposo o soltanto dimenticato
dal tuo
incessante
lavorio. Pensa:
sulle chiavi è capace di stendersi -
recano, precise, le impronte del tuo
tempo. Il primo.
Nella lontananza suggerita dall'arco
di un pensiero nel suo farsi
è iniziato il secondo.
Ho qualche immagine raccolta negli anni
da offrire al baratto; e qualche lettera,
ancora,
per gonfiare il contrappeso.
D'altro, ben poco. Nulla.
Ascolta: scriverò ogni giorno,
per quel poco che valgo,
se è questo il gioco a cui stare.
E all'infinito.

venerdì 11 gennaio 2013

Nell'aria c'è SpazioReale.



Per ascoltare la Squadra Esterna di Rete Uno con Sarah Tognola in diretta da SpazioReale (venerdì 11 gennaio) clicca QUI.

giovedì 10 gennaio 2013

Che bello. E che sballo.



Che bello lavorare fino alle tre di notte. E scrivere l'ultima frase della giornata alle quattro e due minuti del mattino. Che bello sapere che sarà un libro. Che bello dormire fino alle sette e capire che il telefonino che ti ha svegliato ha paura del tuo sguardo e se la fila. Che bello guardare il letto, vuoto, ma sentire ancora il calore della donna che qualche giorno fa era lì e domani, se ti gira, se le gira, rieccola. Che sballo alzarsi già dentro la doccia con il caffè pronto. Gustarsi una sigaretta solo (sooooolo!) e senza quelli che ti dicono che un giorno finirà coll'ammazzarti. State attenti voi a non prendervi troppo ossigeno: ammazza anche quello.
Che bello mettersi una t-shirt nera sulla pelle e poi sopra un'altra grigio antracite, che bello infilarsi due calzini spaiati (uno blu, l'altro nero) prendendoli dal mucchio, un paio di scarpe da ginnastica, che bello mettersi un giaccone militare, perché non sai mai se scoppia una guerra; girarsi attorno al collo una sciarpa che tiene caldo e che ti hanno regalato da lontano senza rompere. Che bello uscire di casa con gli occhiali scuri quando fa appena giorno, con i vicini finalmente certi che sei un tossico. E finalmente in pace, con se stessi e con il mondo.
E che sballo - che sballo – stare fermo al semaforo con il motore acceso e vedere nello specchietto il fumo dei cilindri che si scaldano, salire pigro, disegnare misteri nell'aria ghiacciata, interpretarli per sapere come andrà la giornata. Che bello parcheggiare in sosta vietata, da cafone. Andare al bar, ordinare un caffè e prendersela comoda. Che bello non avere nessuna squadra per cui tifare. Che sballo non leggere i libri che ti consigliano quelli che frequentano soltanto la quarta di copertina ma se la tirano, criiiisto se se la tirano. E che sballo – che sballo – partire in quarta senza multa, dopo il caffè, con la cameriera che magari ancora ti sta guardando e pensa, nel mega-flash della sua giornata, che esistono ancora – oh, ancora! - uomini coraggiosi.
Che bello comprare una birra alla stazione di servizio e bersela con calma, da qualche parte, quando è notte. Che bello se per strada qualcuno ti guarda. Che bello pensare che magari un racconto sta nascendo dentro la sua testa.
Che sballo pensare che le stelle che vediamo sono già spente e che le notizie che ci danno sono vecchie, perché sono vecchi quelli che ce le danno.
Che bello trovare, in fondo a una tasca, un accendino, quando avevi praticamente concluso che non c'era.
Che bello guardare la fiamma che fa.
Che sballo sapere che dipende da te, quanto resta viva. Dalle tue dita, dalla tua voglia di giocarci, dalla tua luna.
Ehhh, ma che sballo questa notte, anche questa, con tutto il cielo acceso: non finirà mai nemmeno se le metti fretta.

Tu. Tu, invece, ascoltami: tieni duro. Tieni duro e basta. Non te lo sto chiedendo. Te lo sto cantando, sottovoce. 

Lo sguardo è interferenza.




Venerdì 11 gennaio SpazioReale è ospite della Squadra esterna di RSI Uno. E La Squadra esterna è ospite graditissima di SpazioReale. Lo sguardo è interferenza. Clicca QUI per saperne di più.

sabato 5 gennaio 2013

A richiesta e - se posso dirlo - controvoglia.

(c) 2013 weast productions


A richiesta (ma controvoglia... esistono, insieme?) pubblico nella sua interezza il Senso del taccuino di oggi. Chi mi scrive dice di volere cogliere (respirare) la sospensione degli a capo. Le frasi spezzate e le parole che se ne stanno lì da sole come zitelle senza waiting list o, o, acrobati con i piedi pieni di ossa. Appunto. Aggiungo, soltanto, qui e come preambolo, che nella vita non si finisce mai di imparare, davvero. E che il senso dell'assurdo, arpionato a quello che vivi, si apre come un sipario nei momenti più inattesi. Due donne, ad esempio: presa l'una a decantare (e non importa in che lingua) le virtù del lardo di colonnata (apparentemente un antinfiammatorio prodotto da mamma natura o da sue perfettamente riuscite creature animali), l'altra nel dire che comunque un po' di colesterolo (a voler essere ottimisti fino in fondo, un po' di colesterolo soltanto, una goccia, va', di colesterolo...) il lardo di colonnata te lo causa. E la prima a concludere, meravigliosa nella ineluttabilità della vita che così dicendo riesce a isolare, che "se sono grassa, ma grassa bene, un motivo ci sarà." Non fosse stata pericolosamente e davvero piena di lardo, avrei concluso che era, come si dice, da mangiare. Ora il Taccuino.

Succede, viaggiando, di finire dentro ai libri che altri stanno leggendo. Succede in aereo, oppure standosene seduti al tavolino di un caffè. Non è educato, va bene, ma in realtà non serve nemmeno sbirciare le pagine per rubare qualche parola, una frase. Basta osservare i lettori, i loro volti: nasce così un nuovo racconto, nella nostra testa. E per chissà quale misterioso processo, finisce con il significare qualcosa per la nostra vita. Diventa parte della nostra esistenza. Come questo dialogo, fra un uomo e una donna, coraggiosi abbastanza per parlare di tutto. Probabilmente d'amore. Ma anche della morte.


LA TUA ESAUSTA INQUIETUDINE

Fatico a starti dietro. Voli, o quasi.
Io, maledizione, arranco.
Mi sento inutile e ti devo tutto.
Ho il fiato corto. Ti osservo...
Ti guardo, con il dentro.
Trovo, in te, lo specchio del mistero.
Emani silenzio. Il lavorio dei pensieri.
Sei, nel modo più compiuto: fragile e esposta.
Sei un'antenna, il polo dei miei inquieti viaggi.
Posso...?

Taci, ora. E ancora. Ascolta l'incerto fraseggio delle mie sillabe, poche.
Vivo al minimo.
Ho strappato qualche immagine al sogno. Le sole credibili.
Giro e rigiro fra le dita
amuleti incandescenti.
Cerco, in ciò che ha già dato tutto, l'augurale portafortuna.
Il fondo del senso,
in una sigaretta strafumata e lacera.
Capisco, nell'attimo, l'infinita complicazione.
Eppure, chiedo altro tempo.
Non si è mai abbastanza soli,
abbastanza per arrivare a capire l'ironia.
Della sorte.

Che fai, ridi? Proprio ora?
Mi imbarazzi.
Gli anni ti escono dagli occhi come cerchietti d'oro e d'avorio.
Ti piaceva metterli sotto i denti.
Sembra ieri.
E ancora oggi, questo suono è sé medesimo.
Credo di capirlo: tu, nel tuo crederti invincibile.
Posso...?

Testardo! Come il vento, sei.
Come il gelo che
immobilizza il faro: le parole si perdono nell'inganno (o è un vezzo, solo
questo?).
Puntano, convinte fino in fondo, a un altrove.
Non avranno mai più il senso auspicato.
Ascolta: nemmeno urlano. Sussurrano.
Hanno abbassato la cresta. Sono quasi e soltanto
suoni.
Portano se stesse, ed è già grande fatica. Il resto -
il senso -
è nel riflesso notturno.

Ti nascondi? Dietro le parole?

Tu hai paura. E non la guardi. Nonmiguardi.
I tuoi occhi implorano la fantasia:
che gli dia un altro mondo.
Io sto nel mio. Ormai.
Tu, stai buono. Risparmiati.

Dentro quanti viviamo? Uno, due, tre mondi?
Quanti ci andrebbero a genio,
per essere felici? E per sempre?
Sono una chiatta al traino: senza motore, senza
traccia.
Scandaglio con le dita la tua scia,
che si fa sottile.
Profonda, da vertigine, ad ogni metro.
Mantengo un ridicolo equilibrio: ho i piedi
di un vecchio trapezzista,
pieni d'ossa e senza muscoli.
Mi aiuto con le mani, stringo l'aria.
Posso...?

Non ancora, non ancora!
E via, che uomo sei?
Un uomo devi essere, che sappia stare al mondo.
Mostrami i segni -
e per davvero -
del terzo grado della vita,
i morsi di chi a pezzi ti vorrebbe.
Le lucenti e
trionfali
cicatrici. Che aspetti?

Guardami. Sono nudo. E trasparente.
Chiedo che il tuo sguardo mi trafigga. E faccia male.
Che lasci un altro segno, l'ultimo, se vuoi.
Che mi costringa a dire no, che non va,
che non si fa,
che non va bene.
E che non funziona, cristo, non funziona.
Noncosì. Nonora. Nonqui.

Cosa ti impedisce di farlo, di dirlo, di urlarlo?

A chi, per la miseria, a chi?
In faccia a chi, eh?, hai un idea?
Avanti, suggeriscimi qualcuno.
Dammi, se ti va, un'altra dritta, delle tue.
Disegnami la faccia di un cretino, da colpire,
le sembianze di un nemico,
da annientare,
alludi, perlomeno, al rombo di una folla,
da evitare,
al tuono di un disastro,
a cui scampare,
a una guerra da affrontare,
a una bomba da disinnescare.
Una trappola, un suo arteficie... Ci saranno, no?
Che fai, resti muta?
Sorridi?
S-o-r-r-i-d-i?
Come fai?

Non avrai risposte, scordatelo, da me!
Io sto dove sto e vedo ciò che vedo. Ora.
Ad esempio: sto con te, come mai sono stata.
E sto con me, come mai avrei creduto.
Dicevi: “ti osservo”.
Lo fai davvero?
Guardami: le parole,
come fiammiferi,
finiranno col bruciarti.
Dimenticale.
Cerca altrove.
Cerca negli occhi.

Nei tuoi?
Ho paura di finirci dentro, senza fondo.
Di vederti, per davvero. E proprio adesso.
Lascia che mi giri e mi rigiri
l'oro e l'avorio
attorno ai polsi.
Catena, o viatico per il mistero.
Io sono un perditempo.
Uno che di tempo ne ha da vendere.
Per me, certo, ma a che scopo?
Per te, per te, tutto per te.

La mia scia ormai come una lama: sottile e affilata.
Luccica al riflesso della notte,
ma non è il faro. E' ben altro.
Non ha un nome, non ha un luogo.
E non ha un senso altrove.
Ora, puoi...

Ora non serve piu': mi hai sempre saputo.
E io so te, sempre più forte.
Mentre apprendo,
senza impazienza, a decifrare la tua
esausta
inquietudine.  

venerdì 4 gennaio 2013

La tua esausta inquietudine.

Domani Il senso del taccuino, sulla Regione, fa a pezzi le frasi. Le solite frasi. Qui di seguito, il solito estratto.

Fatico a starti dietro. Voli, o quasi.
Io, maledizione, arranco.
Mi sento inutile e ti devo tutto.
Ho il fiato corto. Ti osservo...
Ti guardo, con il dentro.
Trovo, in te, lo specchio del mistero.
Emani silenzio. Il lavorio dei pensieri.
Sei, nel modo più compiuto: fragile e esposta.
Sei un'antenna, il polo dei miei inquieti viaggi.
Posso...?

Taci, ora. E ancora. Ascolta l'incerto fraseggio delle mie sillabe, poche.
Vivo al minimo.
Ho strappato qualche immagine al sogno. Le sole credibili.
Giro e rigiro fra le dita
amuleti incandescenti.
Cerco, in ciò che ha già dato tutto, l'augurale portafortuna.
Il fondo del senso,
in una sigaretta strafumata e lacera.
Capisco, nell'attimo, l'infinita complicazione.
Eppure, chiedo altro tempo.
Non si è mai abbastanza soli,
abbastanza per arrivare a capire l'ironia.
Della sorte.





martedì 1 gennaio 2013

2013.

kristo, mi sono acceso 3 sigarette, se ne stanno lì tutte in fila nel posacenere che è un sottotazza similasiatico che qualcuno mi ha regalato una vertigine di anni fa: non regalatemi ceramica, nemmeno oggi che ho passato i quaranta! Non sono diventato più tenero. Le mie amate marlboro rosse sono piene di sostanze pensate non soltanto per rendermene perdutamente schiavo, ma anche per bruciare come una otto cilindri: tre mocciose vestite di bianco fanno a gara a chi si consuma più in fretta. A chi per prima arriva al volgere dell'anno. Vince l'Esausta, la Bruciata-fino-alle-ossa. C'est l'amour. Consunzione. Ci beviamo le palle sparate dal primo che passa, vuoi mettere quelle dei media? Ci beviamo gli alleggerimenti. I commenti. Gli editoriali creativi. Le scalette. I palinsesti. Le impaginazioni. Gli approfondimentiiiii. L'ha detto la televisione. L'ha detto il giornale. La radio. Internet. L'ha detto questo e quello....  Sempre lì a crederci. E il giorno dopo, pour cause, siamo davanti allo specchio a cercare capelli bianchi, rughe del day after, occhiaie, foruncoli, millimetrici cedimenti adiposi plurisituati. Fortuna che c'è una soluzione a tutto. Un dottore per tutto. Una pastiglia per dimenticare una notte passata con quello sbagliato, che-se-lo-rivedo-giuro-che-gli-rigo-la-macchina. Che c'è lo sballo per sgroppare quella-che-nemmeno-una-ventosa-ti-starebbe-addosso-tanto. Che c'è un dio-santo-pensaci-tu-che-altrimeti-m'-incazzo. Per tutto. 
C'è, ancora, il senso della solitudine. Dove trovare l'altro. C'è il senso della ricerca. La voglia di dire due parolacce tantoperdire. Due cose che zittochetisentono. Esempio: troppi somari in circolazione. Troppi nei posti che contano. E troppi nei posti che non contano, ma tutti a cantare in coro. Ridersela: che bello. Entrare così nel nuovo anno, anche quando c'è altro, ben altro, che fa male, dentro, così in fondo che non ne hai idea.