Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 30 novembre 2012

L'ambizione del topo da laboratorio.

(c) 2012 weast productions / gg.
Il senso del taccuino sulla Regione di sabato 1. dicembre: L'ambizione del topo da laboratorio.  Un estratto:

(...) Se c'è una persona arrabbiata con il linguaggio (parole, immagini), questa è Nahla, giovane rivoluzionaria egiziana. Una carica esplosiva (nel senso buono) che cammina. Rientrando dallo Yemen, ho fatto tappa al Cairo e l'ho rivista. Abbiamo passeggiato insieme. Lei fumava anche per strada. Teneva la sigaretta come fosse un fucile, pronta ad aprire il fuoco sul primo sguardo intriso di (nell'ordine): sorpresa, disapprovazione, rimprovero, passaggio all'azione (del tipo: strapparle la sigaretta). Io, accanto alla ragazza, mi sentivo come Sancho Panza. Nahla ha fatto a pezzi, durante i nostri quattro passi, l'immaginario narrativo che l'Occidente ha elaborato per descrivere ciò che non si sarebbe mai aspettato: degli arabi sulle barricate. Siamo andati in soffitta e abbiamo tolto un vecchio vocabolario da un vecchio baule. E con questo linguaggio, appesantito da un paio di secoli e consumato dalle tarme, descriviamo un mondo nuovo. Nahla rifiuta, in particolare, il nostro lamento costante sulla condizione femminile. “Partite – spiega – dalla convinzione (tutta vostra) che le nostre donne siano sempre e soltanto sottomesse”. Ha ragione, è una scusa: cio' facendo evitiamo di prenderle sul serio come forze davvero rivoluzionarie. Questo sguardo è il velo invisibile imposto dall'Occidente. (...)

lunedì 12 novembre 2012

Solidarietà con i profughi siriani.

(c) 2012 weast productions /gg.
Questa sera al TG 20 di RSI si parla di profughi siriani. Sono stato stato invitato in studio e con un servizio televisivo ma fotografico mostrerò i profughi all'interno della Siria. Domani giornata di Solidarietà nazionale della Catena della solidarietà in aiuto dei profughi siriani fuggiti dalla Siria. 

sabato 10 novembre 2012

Il tuo click preferito.

Il voto per il concorso "Click,click,click..." chiude domani sera alle ore 18.00 in contemporanea con la chiusura di "Il resto della vita" e l'estrazione dei tre vincitori che riceveranno la loro "fotografia preferita" votata (sul posto o per email) dopo avere visitato l'esposizione a Monte Carasso. E ci sarà un'ulteriore sorpresa. Buona fortuna a tutti! Queste sono le due fotografie finaliste. Per votarle vai sulla pagina FB di SpazioReale.

(c) Foto di Giovanna Trosi (senza titolo)

(c) Foto di Giada Total (titolo: "The same attitude, in a different reality")
 Il voto per il concorso "Click,click,click..." chiude domani sera alle ore 18.00 in contemporanea con la chiusura di "Il resto della vita" e l'estrazione dei tre vincitori che riceveranno la loro "fotografia preferita" votata (sul posto o per email) dopo avere visitato l'esposizione a Monte Carasso. E ci sarà un'ulteriore sorpresa. Buona fortuna a tutti! / The "Click,click,click..." contest will 
close tomorrow at 18.00 together with the exhibition "Il senso della vita". At the same time we will choose with closed eyes the three winners of the "Il senso della vita" contest: they will receive the photo they voted for printed in the same format and on the same paper of the exhibition. And there will be one more surprise. good luck everybody!

giovedì 8 novembre 2012

Monologhi sponsorizzati.

Vi ricordate il mio post "Se Berna mi legge"? Si parlava dei 60mila franchi versati da Berna ai partecipanti a una riunione segreta dell'opposizione siriana in esilio (SNC = Syrian National Council) a Berlino. L'organismo non gode di buona stampa fra i rivoluzionari dentro la Siria. Riporto due twitt di tarda notte. Un esempio, soltanto, corroborato da numerosissime testimonianze raccolte sul terreno. Non sto da una parte o dall'altra. Registro. E, di nuovo, mi sento sollecitato alla riflessione (mia personale) circa quanto di recente scrivevo e insieme si discuteva sui propositi giustizialisti e soprattutto sugli slogan sparati a cannonate da alcuni abbonati alla ribalta internazionale circa i crimini di guerra commessi in Siria. Da dove cominciamo (o dove vogliamo arrivare), per davvero, se vogliamo cominciare sul serio (e sul serio a qualche risultato arrivare)? Il resto sono monologhi improvvisati di primattori in tournée sponsorizzata.

Qui di seguito due twitt di questa notte. Discutibilissimi, ci mancherebbe, ma da segnalare.

As I always say, you think we are idiots and don't know the game being played. The cult running  blood is on your hands too.



Hate the opposition. Want the bloodshed to end. Want these abusers of revolution to get lost. Want someone to care, just care about



Notte.

Ricevo e pubblico.

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

(c) 2012 facciadareporter

martedì 6 novembre 2012

Facciamericana

C'è un concorso divertente, si chiama Facciamericana. Lo ha lanciato SpazioReale. Domani mattina, quando ti alzi, e vieni a sapere chi sarà il nuovo Presidente degli Stati Uniti, prendi il telefonino e fotografa la faccia che farai. Poi caricala sulla pagina Facebook di SpazioReale. Non vincerai niente, ma probabilmente farai divertire un po' tutti e tu ti divertirai con loro. Maggiori info su SpazioReale.

domenica 4 novembre 2012

La tua fotografia.

SpazioReale
L'11 novembre, data di chiusura dell'esposizione Il resto della vita, SpazioReale estrarrà a sorte il nome dei tre vincitori del concorso Vota la tua fotografia preferita. Ricordo che ai tre fortunati verrà regalata la fotografia per la quale hanno votato, nel formato dell'esposizione e sulla stessa carta pregiata. I nomi saranno resi noti sulla pagina Facebook di SpazioReale e sulla stampa (anche su questo Blog).

Nelly e il resto della vita.

SpazioReale 4.11.2012

SpazioReale 4.11.2012

A SpazioReale c'è ancora il prossimo week-end per visitare Il resto della vita (l'esposizione chiude l'11 novembre alle ore 18.00). Grande, davvero molto grande l'affluenza di pubblico, da tutta la Svizzera italiana e non soltanto. Ho profonda riconoscenza verso chi dimostra, così facendo, interesse verso il mondo e i destini degli altri che con i nostri si incrociano.
Alla ricerca, io stesso, ancora, di che cosa possa davvero contenere, significare il titolo Il resto della vita, trovo, rileggendo qualche testo della poetessa tedesca Nelly Sachs, questa indicazione di scavo:

SCHMERZEN SINGEN

Tote und Lebende begegnen sich im Äussersten

Eine Stimme sagt:
Welt klopft in meinem Puls - trinkt -

Andere Stimme sagt:
Was klopft - was trinkt
ist Hinterlassenschaft -

Hinterlassenschaft: ciò che "ci lasciamo dietro". La nostra scia. La nostra traccia. O il nostro disfarci di una zavorra. Il nostro alleggerirci, per diventare essenziali.  Per essere pronti ad affrontare il "resto della vita" come qualcosa che è vita per davvero. Davvero vita. Cerchi un senso e ne trovi infiniti altri ad attendere di essere esplorati e messi alla prova. Ecco, forse questo: il "resto della vita" come un mettersi alla prova. E molto altro ancora. Molto. 

Parola per parola.

A richiesta di molti lettori e lettrici del blog pubblico nella sua integralità l'articolo apparso sabato 3.11 nel Senso del Taccuino. Così sappiamo tutti di cosa parliamo. Eccolo:


Quella guerra pulita che piace all'Occidente.

In guerra l’essere umano diventa trasparente. Lo puoi osservare. Leggere. Lui lascia fare. In una situazione normale, di pace, uno ti direbbe: “cos'hai da guardarmi, toglimi gli occhi di dosso”. In guerra lo sanno tutti che non c'è nulla da nascondere. Puoi dissimulare, mentire, manipolare: nasconderti, no. L'uomo trasparente non è più calato dentro una società le cui regole era abituato (chi più chi meno) a rispettare, a fare proprie, a dare per scontate. L'uomo trasparente non ha più legge: in guerra non c'è una legge da rispettare o da fare rispettare. L'uomo trasparente è l'immagine più realistica che riusciamo a cogliere con gli occhi: immagine di noi stessi. Quella che rincorriamo e ricerchiamo nei libri di storia, in quelli di filosofia, nella finzione, nei polizieschi, nelle trame d'amore e d'avventura, nell'orrido, nei serial killer. Cerchiamo, tutti, questa trasparenza degli altri nei quali scoprire, riconoscere e accettare (ma questo è un passo ben più arduo) noi stessi. Eccolo li', davanti a noi, l'essere umano improvvisamente ridotto ai termini minimi della sua esistenza. La guerra è la manifestazione dell'estremo che si esprime non nelle categorie a noi (fin troppo) care del bene da una parte e del male dall'altra, utilizzate per disinnescare l'ordigno che abbiamo dentro. La guerra genera la sovrapposizione spaziale e temporale dell'estremo: il bene e il male fusi insieme dentro la stessa persona nello stesso istante. In guerra osservi individui compiere atti di annientamento totale dell'altro; e vedi individui incarnare azioni di dedizione assoluta all'altro. Capita – terzo e ultimo e più imbarazzante scenario – di vedere lo stesso individuo fare entrambe le cose. Come la mettiamo?

Sulla guerra esiste una abbondante letteratura: da Omero ai reporter contemporanei. Mi sono portato due libri in valigia, di Anthony Loyd (The Times) e Chris Edges (New York Times e altri). Titoli (traduco dall'inglese): “La mia guerra è finita, mi manca tanto” e “La guerra è una forza che dà senso alla nostra vita”. Ohohoh. Spalancano entrambi una finestra che dà su una voragine. Il baratro senza fine che è la condizione umana. Lo fanno scegliendo un titolo che volutamente evita la fin troppo scontata deprecazione della guerra. Al contrario: ammettono di essere soggetti a una forma di dipendenza, che nei loro volumi spiegano con dovizia di particolari. Nessuno dei due ne parla, ma dalla lettura si conclude che la dipendenza non è generata dall'adrenalina, dal sangue, dalla brutalità, dai macelli dell'ex Jugoslavia, del Sud America e del Medio Oriente. Troppo facile: significherebbe ribadire un cliché senza fondamento. Credo invece, da una ottica mia, che si tratti di dipendenza nei confronti dell'uomo trasparente che la guerra rivela.

Incontro due ragazzi siriani, con lo stesso nome: Mustafa. Mustafa numero uno mi confida, senza giri di parole, che agli Alawiti (sciiti della stessa setta religiosa del presidente Assad) va tagliata la testa. E che gliela taglieranno, perché hanno vissuto per quarant'anni a spese dei sunniti. Il ragazzo, che è stato torturato brutalmente dal regime (“i miei organi genitali sono stati massacrati”), spiega che combattere, per lui, significa sacrificarsi per la libertà e i diritti di tutti. Un tagliagole democratico? L'altro Mustafa mi spiega che, quella siriana, è una guerra di religione: l'obiettivo è la costruzione di uno stato islamico. Continua, tuttavia, aggiungendo che è anche una rivoluzione dei poveri contro i ricchi, degli sfruttati contro gli sfruttatori. Estremista islamico o Robin Hood?

Ho l'impressione che questi ragazzi siano capaci di tutto: dell'atto più efferato così come dell'azione più altruistica. Che cosa li ha messi in questa posizione? Il loro passato (breve: hanno 20 anni), la propaganda, l'indottrinamento? Forse. E' stata, soprattutto, la guerra. Quella vera, non quella che ci piacerebbe venisse combattuta. La guerra sporca, sanguinaria, crudele e terribile. Non quella a cui chiediamo di rispettare (di incarnare, addirittura) le regole della ragione e della pietà, di rispettare la legge. Per tornare ai libri di Hedges e Loyd: descrivono la guerra com'è, un assordante, terrificante scatenamento. Questa è la guerra. Il resto, tutto il resto, è come ci piacerebbe che fosse, come ci fanno credere che possa essere: regolata, quasi pulita, rispettosa, intelligente, onesta. Umana. Sì: umana. Se qualcuno mi chiedesse qual è la bugia più clamorosa prodotta dall'epoca post-moderna, risponderei: la balla della guerra umana. Meglio: l'idea che ci possa essere una guerra umanamente accettabile. Anzi, tolgo i congiuntivi: l'idea che c'è una guerra accettabile e una, invece, che non si puo' accettare. Una guerra guardabile e una inguardabile. Una guerra legale e una illegale. Quindi, da perseguire con la legge.

Lo scrivo: sono contrario alla Commissione d'inchiesta dell'ONU sui crimini di guerra e contro l'umanità commessi in Siria. E per spiegarmi la faccio breve. Sono contrario perché: 1. Una commissione di questo tipo nasce dal presupposto sbagliato: che ci siano o possano esserci guerre combattute senza commettere crimini (solitamente sempre “le nostre”, mai quelle degli altri). 2. E' un'iniziativa parziale e frettolosa: il mondo è stato a guardare le prime espressioni pacifiche della rivoluzione in Siria senza fare nulla, anzi, sperando che il regime di Assad ne uscisse indenne. Abbiamo messo in dubbio, dall'inizio, l'autenticità dei filmati che provenivano dalla Siria, con un marchio quasi infamante: “non possiamo garantirne la veridicità”. Come dire “sono arabi, non ce la raccontano giusta”. Abbiamo lasciato che, in Siria, la gente precipitasse nel baratro, ben sapendo quali sarebbero stati gli scenari a venire. A guerra (a macello) in corso, decidiamo quindi di metterci una pezza: così una guerra non si combatte, signori, non va bene, state esagerando, ci date fastidio e vi puniremo. 3. Il mondo, in Siria, c'è dentro fino al collo. L'Occidente, il Medio Oriente, l'Oriente. Ci siamo dentro tutti. Ciascuno con la propria interessata visione di quello che verrà. Ciascuno con le proprie bugie. E le proprie armi. Da piazzare. Da vendere. Con i fondi da stanziare (ai ribelli, al regime). E le parti da sponsorizzare.

Anche la Svizzera ci mette la sua, di pezza. In Siria si lanciano granate a mano prodotte nella Confederazione. L'Inchiesta federale ha concluso – poteva andare diversamente? - che erano state vendute in buona fede agli Emirati Arabi Uniti (l'avete data, da Berna, un'occhiata alla situazione dei diritti umani negli Emirati?) e che chissà come ora esplodono e fanno a pezzi la gente in una guerra vera. Il detersivo lavapiùbianco elvetico (prestato alla comunità internazionale salita sulle barricate di un riscoperto umanesimo) si chiama Carla Del Ponte. La sua missione, svolta a fianco di tre colleghi, parte condizionata da troppe zavorre. Da un “adesso arrivo io” fuori posto e stonato di fronte al massacro in corso, una febbre della ribalta celebrata, senza riserve, dalla stampa (ho sentito paragoni quasi biblici, mi auguro che la signora Del Ponte abbia provato imbarazzo). Dal coinvolgimento attivo sullo scenario siriano di buona parte dei paesi che sponsorizzano la Commissione d'inchiesta ONU. Dal silenzio dell'ONU e del mondo su troppe altre guerre etichettate come “giuste” o “legali”, al punto da ignorare i massacri compiuti dai soldati occidentali, dai paramilitari delle ditte di sicurezza straniere (contractors), il cieco pressapochismo dei droni (aerei senza pilota) in Iraq, Pakistan, Afghanistan, Yemen, eccetera. E, per finire, dalla convinzione opportunista e ipocrita che ci possa essere (ci sia, “c'è!”) una guerra che non sia un crimine contro l'umanità. Una guerra fatta come si deve. Pulita. Organizzata. Accettabile.

sabato 3 novembre 2012

Delitto e castigo.

Un bossolo di munizione nel nord della Siria / (c) 2012 weast productions

Mi fa piacere che il mio Taccuino di oggi stia suscitando reazioni e riflessioni (mail, telefonate...). Suggerisco, per chi ne ha desiderio e interesse, di seguire la discussione che, indipendentemente dall'articolo (ci mancherebbe), da DENTRO LA SIRIA si sta animando su Twitter attorno all'argomento "crimini di guerra".  Propongo a chi raccoglie l'invito di seguire @tweets4peace e, cercando nei suoi followers, di allargare la rete. Da dentro una guerra, che significato hanno delitto e castigo? Risposte molteplici. 

venerdì 2 novembre 2012

Il senso del taccuino.

(c) 2012 weast productions / gg.



Domani, 3.11,  Il senso del taccuino, sulla Regione, si arrabbia: Quella guerra pulita che piace all'Occidente.

In guerra l’essere umano diventa trasparente. Lo puoi osservare. Leggere. Lui lascia fare. In una situazione normale, di pace, uno ti direbbe: “cos'hai da guardarmi, toglimi gli occhi di dosso”. In guerra lo sanno tutti che non c'è nulla da nascondere. Puoi dissimulare, mentire, manipolare: nasconderti, no. L'uomo trasparente non è più calato dentro una società le cui regole era abituato (chi più chi meno) a rispettare, a fare proprie, a dare per scontate. L'uomo trasparente non ha più legge: in guerra non c'è una legge da rispettare o da fare rispettare. L'uomo trasparente è l'immagine più realistica che riusciamo a cogliere con gli occhi: immagine di noi stessi. Quella che rincorriamo e ricerchiamo nei libri di storia, in quelli di filosofia, nella finzione, nei polizieschi, nelle trame d'amore e d'avventura, nell'orrido, nei serial killer. Cerchiamo, tutti, questa trasparenza degli altri nei quali scoprire, riconoscere e accettare (ma questo è un passo ben più arduo) noi stessi.