Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

lunedì 15 ottobre 2012

Vado a tre tempi.

(c) 2012 weast productions / n.c.


(c) 2012 weast productions / n.c.


(c) 2012 weast productions / n.c.
Domani sera, 16 ottobre, vi aspetto tutti al Teatro Sociale di Bellinzona. Iniziamo alle 20.45. Porto, sul palco, la fiction di un reporter. O la realtà. O entrambe. Credo, alla fine, che ci porto soltanto me stesso. "Raccontami una fotografia" sarà anche la riflessione senza filtri di uno innamorato del suo mestiere. Perché è un modo per guardare in faccia, conoscere e raccontare il mondo. Nelle tre immagini, i tre tempi dello spettacolo. Ecco, ho trovato la frase: saranno le confessioni di un reporter che ha scelto la fiction per rivendicare il valore della realtà. Tante fotografie sul grande schermo del palco con il commento musicale dal vivo di Ivano Torre. Vi aspetto.

6 commenti:

  1. Ciao Gianluca, per motivi di spazio divido il post in più parti. Ecco la prima:

    Sono arrivato in tre tempi.

    1. fastidio
    2. diffidenza
    3. resa

    1. ti ho conosciuto nell'abitacolo della mia automobile, in colonna come piace a te. Gaza, carestia nell'Africa del Nord, Libia, Egitto. Ho subito pensato che il tuo ego sciabordasse un pochettino dalle cronache che facevi. Il tono di voce impostato, le pause giuste al momento giusto. Mi davi l'impressione di uno di quegli inviati che adorano ascoltarsi e magari sotto sotto godono dello stare nell'occhio del ciclone, per il semplice gusto di poterlo raccontare. Quando ti ho visto dal mio salotto, l'impressione è restata. Non riuscivo a sentire quello che dicevi, buona parte della mia mente tratta in inganno da quel tarlo che mi ripeteva "oh che palle... sempre in prima fila dove germoglia l'odio o la catastrofe e poi guarda o ascolta come se la gode".

    2. Conosco una ragazza (ottima fotografa, non solo con la macchina, ultimamente ne hai consigliato il blog) che mi parla di te e del tuo lavoro. Mi mostra il tuo blog. È una devota.
    In precedenza era già riuscita a scuotermi dal mio torpore intellettuale, in una maniera che non credevo possibile. Il fastidio scema fino a svanire. Resta una punta di diffidenza che mi fa comunque dire "l'è bravo ma quanta pocia...".

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  2. seconda parte:

    3. Con un sassofono puntato alla tempia, mi reco solo soletto, sabato 6 ottobre a Monte Carasso. E resto di pietra. La stessa usata per quelle lapidi nei boschi, o accatastata a mucchi tra le macerie, priva di anima come la sofferenza che ha colpito i soggetti delle tue cronache, dei tuoi scatti. Mi specchio subito nella diffidenza di quel bimbo che guarda con disprezzo il telegiornale in quel vecchio televisore. Mi allungo a prendere quel braccio che sporge dalla ramina. Mi innamoro all'istante della bimba sorridente. Perdutamente. Il viaggio nelle catacombe mi colpisce meno. Ma l'esperienza è sufficiente per farmi cambiare idea su di te.
    Ieri sera ero seduto in sesta fila al Sociale di Bellinzona. La voglia quasi lombrosiana di vedere, di capire, di conoscere meglio questo ragazzo che, pur tirandosela, mi ha scardinato un cassetto del mio cuore con i suoi scatti. Spengono le luci, tacciono le voci (niente fascia d'oro per la Miss).

    Prima sorpresa: resilienza. Ho passato 36 anni della mia vita ad ignorare l'esistenza di una parola che mi definisce in maniera perfetta. La capacità di un materiale di resistere ad uno shock e ritornare, se piegato, nella sua posizione di partenza. Parola che tra l'altro nasconde il mio cognome al suo interno. E prima che il buon Ivano mi trasporti in un mondo tutto suo che però riesco a sentire anche mio, (lui e i suoi piumini, le sue spazzole, le campane, le campanelle, i timpani,...) mi ritrovo seduto in poltrona al tuo cospetto. Scopro la verità dietro a quel sorriso di bimba che non riesco a dimenticare. La verità stessa gioca a nascondino con me, mi viene a cercare, sbircia mentre conta.
    Durante il secondo tempo il Demonio, travestito da Morfeo, si diverte a saltare sulle percussioni ipnotizzanti e cerca di ghermirmi. Ma non si tratta di sonno o noia. Si tratta appunto di ipnosi. I miei sconosciuti vicini di poltrona spariscono e resto solo con le foto, la musica, la tua voce a far capolino ogni tanto.
    Arriva il terzo tempo. Quello dove si ride, come annunci sornione prima di sederti sul palco.

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  3. Che tempo che fa del 15/10/2012 (Massimo Gramellini)

    Per non dimenticare Malala
    in una citta' pakistana al confine con l' Afghanistan , tre ragazzine escono da scuola canticchiando, un'uomo barbuto si avvicina e chiede chi di voi e' Malala? sono io, dice quella che cammina nel mezzo , ha 14 anni un principio di frangetta e un dente scheggiato , il barbuto le punta il mitra addosso e svuota il caricatore.
    I talebani rivendicano con orgoglio l'attentato alla ragazzina che cantava all'uscita da scuola , colpevole di aver sostenuto pubblicamente il diritto per tutte le bambine di studiare , giocare, cantare andare al mercato e parlare, un diritto che quei fanatici definiscono osceno.

    Malala è stata appena trasferita in Gran Bretagna,muove le dita delle man i e dei piedi,ma ha solo 50 possibilità su 100 di sopravvivere.
    Ma nel fine settimana è successo qualcosa di strabiliante,10 milioni di studenti islamici,hanno acceso candele davanti alle sue foto e pregato Allah affinchè prenda le distanze dall`omonimo nel cui nome i fanatici ammazzano le ragazze per impedire loro di studiare.

    Se ci fosse un talebano all`ascolto,io vorrei dirgli soltanto questo: che il "cancro dell`umanità non sono mai state le donne istruite ma i maschi ignoranti." roxane

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  4. Ci provo. Come promesso ...
    Ho imparato. Mi sono sentita partecipe. Mi sono emozionata.
    Anche per me una sorta di "pièce" in tre tempi.
    Penso che, quando ci sono questi elementi mescolati che interagiscono fra di loro, il significato è semplice: scelta azzeccata. Impresa riuscita.
    Così ho vissuto "un reporter a teatro".
    Ho sentito un termine nuovo, vero, importante: la resilienza.
    Una forza incredibile, ben spiegata da Roberto Malacrida nella sua introduzione in penombra.

    Poi il buio, come si vuole a teatro.
    Appare l'attore-reporter.
    La sua voce prende spazio.

    La prima immagine scende dal soffitto. Sospesa, stesa.
    La stessa immagine che mi aveva già colpito alla mostra "Il resto della vita" presso SpazioReale.
    La signora vestita di nero è ancora e sempre lì che mi fissa.
    La gigantografia ha solo cambiato dimora, ma la sensazione che ne esce per me è immutata. Lo sguardo di quella signora s'incrocia insistentemente con il mio.
    L'attore, munito di una pila che illumina i volti dell'immagine, spiega di averla trasportata a teatro perché alla mostra ha suscitato interpretazioni diverse fra più visitatori. Una sorta di inconsapevole condivisione.

    Poi si parte.
    Un viaggio fatto di scatti e parole. Fotografie proiettate su di un grande schermo che fa da totale sottofondo al palcoscenico.
    Un viaggio accompagnato dalla voce dell'autore che ne racconta quella parte che non conosciamo, non possiamo sapere. Non si vede.
    Il resto è chiaro, nitido, percettibile. È il resto della vita.
    Persone. Luoghi. Circostanze. Ma, soprattutto, storie. La vita di altri.
    In sottofondo la musica delicata di Ivano Torre. "Rumori armoniosi" e significativi, in crescendo nei momenti di silenzio. Mai sopra le righe.
    Un regalo anche per l'ascolto.
    L'attore alterna il racconto delle immagini - le informazioni raccolte, documentate - a considerazioni - invito alla riflessione, all'introspezione -. Un'altalena fra il vero e l'interpretativo, lasciando la totale libertà allo spettatore di partecipazione. Ascoltando la vita degli altri, passi in rassegna anche la tua.
    A teatro ero con mia madre. Credo sia stata lei a trasmettermi fin da piccola la passione per le storie. Quelle degli altri. Invitandomi ad andare sempre oltre i pregiudizi e i confini.
    All'uscita, mi ha sorpreso la sua domanda: - pensi che il bambino in braccio al signore (prima immagine proiettata a colori) fosse ancora vivo? -.
    Non ho potuto risponderle.
    È l'unica immagine, credo, dove infatti non si ha la percezione della vita che esiste ancora. Il bambino ferito sembra esanime.
    La percezione importante per mia madre è stata la vita o la morte del bambino, fin da subito. Un ruolo di identificazione ho pensato: di madre, di nonna.
    Personalmente invece, il momento più sentito, l'ultima immagine.
    Pure a colori. Mi pare siano le uniche due non in bianco e nero: quella d'apertura e quella di chiusura. Forse una scelta significativa.
    L'ultima immagine appunto, la fotografia di Assil.
    La bambina palestinese ustionata, ritratta con la madre e le sorelle.
    Rinata più volte. Simbolo di un'unificazione d'intenti possibile.
    Da ieri sera, ho imparato, che Assil rappresenta per me il simbolo di: resilienza.
    Ecco il motivo per il quale la sua immagine suscita in me un fremito.
    La prima e l'ultima immagine. Mia madre ed io.
    Nel mezzo, racchiuse, le altre vite.
    Mi sono emozionata.

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  5. terza e ultima parte

    Il tuo sorriso è una smorfia crudele, un sogghigno privo di allegria. E sfoderi come se nulla fosse un'ironia affilata come un bisturi, e ancora una volta mi rivedo in quella smorfia. E mi spieghi perchè sono 6 mesi che non guardo un telegiornale. Ero stufo dell'informazione che mi veniva servita in maniera sempre uguale, edulcorata, appiattita, piatta. Le peggiori nefandezze del genere umano servite come fossero cose normali, il bianco e il nero, il bene e il male, i buoni e i cattivi. La tragedia Siriana uguale nei risultati a tutte le altre della Storia dell'umanità. E l'ONU a cincischiare, e gli Americani sceriffi indesiderati, e gli europei smaniosi di contare qualcosa, e lo spettro del fondamentalismo musulmano e il terrore che si insinui nel seme delle nuove libertà arabe... bla bla bla bla...
    La goccia che fece traboccare il mio vaso fu la spia USA travestita da terrorista e il relativo falso attentato sventato, con la verità che viene a galla 5 giorni dopo per una falla nel sistema...
    L'11 settembre ha lasciato una profonda bruciatura sulla mia innocenza e tutto quello che è successo dopo ha definitivamente minato la mia fiducia nei mezzi di informazione, trasformandomi in uno scettico, ruolo che detesto.

    Tu ieri sera ti sei tolto mezza cava di ghiaia dalla scarpa. L'hai fatto in maniera naturale, appassionata, schifata, teatrale.

    Tu ieri sera mi hai psicanalizzato. Gratis per giunta.

    Tornando verso Tesserete, risalendo il Ceneri, solo Bryan Ferry e il suo album As Time Goes By è riuscito a darmi sollievo. Ed è stato strano, perchè normalmente il sollievo giunge a lenire il dolore. Il mio caso era diverso. Uscendo dal Teatro Sociale quasi di soppiatto, avevo in cuore un sollievo che non conoscevo. Ho capito che sottrarsi alla realtà, in qualsiasi maniera ci venga propinata, non funziona. Mi è tornata la voglia di "crümare" la verità in mezzo al secchio dell'immondizia che ci scaricano in testa ogni volta che ci raccontano come va il mondo.

    Immedesimandomi in un tuo piccolo eroe, ho voglia di impallare il cameraman col mio natel :)

    Riassumendo. Secondo me un po' te la tiri. Ma mi hai restituito un po' di quella fiducia che avevo perduto. E secondo me, per questo, fai bene a tirartela ;)

    Ci ho messo tre tempi per arrivare a te. Scusa, ma c'era colonna all'uscita di Ignoranthul. Sono comunque contanto di essere riuscito ad arrivare. Mi scuso per lo sciacquone verbale spesso tortuoso ;)

    robi

    P.S. Tu e Ivano avete aperto una tasca temporale ieri sera. Grazie :)

    P.P.S. Ho da poco scoperto che tuo papà era Plinio. Non l'ho mai conosciuto, ma grazie a lui mi sono innamorato della cronaca e della storia Ticinese. E l'ironia di razza l'ho proprio riconosciuta ieri sera.

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  6. Sono fortunata : posso tornare indietro nel tempo, muovermi nello spazio. Sono al Teatro Sociale di Bellinzona martedì scorso.
    In platea, nelle gallerie, ovunque.
    Vedo sorgere sul palcoscenico le fotografie di “Il resto della vita”; alcune sono le mie preferite.
    La voce del “reporter a teatro” rimane muta per me. Le circostanze, le vite dei loro protagonisti mi restano sconosciute, lasciate alla mia libera interpretazione.
    Divento tuttora partecipe :
    Percepisco le emozioni suscitate, le letture fatte con il filtro delle proprie esistenze.
    Sento la potenza delle immagini che vanno frantumare le certezze, scuotere le menti, crollare il muro dell’indifferenza.
    Ricordo che sono il frutto dello sguardo sul mondo di colui che dietro alla machina fotografica le ha scattate.

    Grazie per avermi ristituito questa esperienza malgrado l’assenza.

    Donatella

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