Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

martedì 24 luglio 2012

Delia, ancora. E per finire.


Ecco l'ultima cartella inviatami dall'autore del racconto di Delia. Ne ho tralasciate molte, per mancanza di tempo e di personale frequentazione del mio Blog, il tempo è stato quello che è stato. Riassumo, modificando poco, la parte che ci conduce alla fine, e alla nuova vita di Delia. Chissà che non la ritroveremo, un giorno o l'altro. Una tosta, ma tosta davvero.

Aveva aperto gli occhi e il suo corpo sapeva di cotone fresco. E per la prima volta da tempo quasi immemorabile – la vita sa giocarti certi scherzi con i giorni che trascorrono – si sentiva anche viva. Lei. E basta. Si era preparata il caffè con cura e senza impazienza. Era uscita dal letto leggera: un pensiero trasparente che sapeva di rosmarino e menta e che aveva impregnato il corridoio, che quella mattina pareva senza fine. Una inestimabile passerella a sua disposizione. Il legno avrebbe custodito il calco di ogni suo passo. Ancora non sapeva, a metà strada, se offrire al mattino (alla giornata) il segno della vittoria, con l'indice e il medio della mano destra alzati, oppure soltanto il medio, solo soletto, dritto come un testimone oculare. Il testimone oculare della sua vittoria. Uhhhuhhh....
Delia si era decisa per la seconda variante. Dito medio da solo e vai. Vai. Vai. Vai. I destinatari erano due e l'avrebbero capito, quel gesto, a distanza, anche senza vederlo, percependo soltanto il sibilo dell'aria che il movimento mano-dito avrebbe provocato nel suo comporsi. I destinatari erano i due uomini nei quali era – come dire, uhmmmmmmm, come dire? - incespicata nel recentissimo passato della sua vita. Ricapitoliamo: uno, che avevamo lasciato morto o piuttosto moribondo, se l'era cavata con una leggera ferita da taglio all'avambraccio destro. Ma siccome il sangue lo faceva penare, aveva perso i sensi ed era parso morto, a se stesso più che agli altri, che lo avevano soccorso: dai, non esagerare, alzati! Era soltanto svenuto. Ritornato in sé aveva capito che Delia non era nemmeno lontanamente pensabile per lui e l'aveva cancellata dalla sua testa con la volontà che gli rimaneva. L'altro, il dentista, si era polverizzato. Nullificato. Delia lo aveva laserizzato. Finito. Nullo. Dentista e basta. Wooooow. 
Il caffè ormai flirtava con il profumo di rosmarino e menta del corridoio. Delia contava i millimetri con lo strumento di precisione dei suoi occhi, quanti ne mancavano al contatto della su amano destra con il manico della caffettiera, al prodursi della meravigliosa cascata del liquido bruno dentro la tazzina che aspettava soooooltanto che si scaricasse quella nuvola fumante e promettente. Caffèèèèè. Santiddio quanto puo' farci bene un caffè. Ecco che cosa si era detta Delia. E cominciava a pensare. A ripensare. Era tornata in sé. Dopo un lungo viaggio. La polizia l'aveva interrogata sul caso del conoscente semiaccoltellato e del dentista preso a pugni. Lei aveva negato tutto. Producendo un alibi, suo, anzi suissimo: non c'ero, dimostratemi il contrario. Qualcuno, infatti, aveva prodotto una testimonianza blindata, giurando di avere visto una figura femminile, in entrambi i casi, fendere la notte della città come una pallottola: vestita di nero, sospesa a un paio di elegantissime scarpe, vestita alla Jil Sander. Tornare a casa, insomma, senza fretta ma determinata. A un'ora non collegabile ai fatti indagati. Doveva essere Delia, soltanto Delia sapeva muoversi così: cattiva e elegante. Graaaazie! Delia aveva detto al testimone, senza nemmeno uno sguardo. Era fuori. Dal caso, dai guai. Che palla senza fondo. Perché Delia c'entrava eccome, col coltello e col pugno in faccia. Ma se uno si mette in testa di darti una mano, perché deluderlo, perché? Che cosa si aspettava, l'ometto perfettamente vestito che si era fatto avanti con gli investigatori? Di condividere lo strepitoso contenuto della caffettiera di Delia, un mattino o l'altro? Se lo scordasse pure, questo pensiero. Avrebbe fatto una brutta fine, come minimo Delia gli avrebbe spezzato un femore.
Come stooooo beeene, pensava Delia. Sola. La valigia era pronta. Il taxi attendeva. Di corsa all'aeroporto. Aveva un confine da attraversare. A piedi nudi, questa volta. Senza rumore. Dall'altra parte qualcuno la stava aspettando. Un uomo. Delia senza uomini non sapeva stare. L'avrebbe portata con sé, senza tante parole, senza tanti sguardi. Dentro il suo mondo, cosi' come Delia sarebbe rimasta dentro il suo. Si sarebbero fatti, insieme, un sacco di risate. E insieme avrebbero avuto paura. Anche quella. - Fine -

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