Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 23 marzo 2012

Scomoda. Come la verità.

(c) 2012 weast productions
Donatella Luca, in risposta al mio post Contro. Per passione mi motiva a scrivere due pensieri in relazione alla mattanza commessa dal sergente maggiore americano in Afghanistan e a quella di cui è stato autore Mohammed Merah, cittadino francese di origini algerine. Approfondiremo nei prossimi giorni l'argomento, perché serve tempo per concatenare pensieri e parole. Questa sera ne ho poco. Pensiero numero uno: è un esercizio interessante paragonare gli articoli dedicati al caso afgano e quelli scritti in copertura del caso francese. Nei primi (Afghanistan) è evidente il tentativo di descrivere l'autore degli omicidi come un soggetto vittima di una situazione dentro la quale è venuto a trovarsi (troppi turni in zone di guerra, troppo stress, follia). Nel caso francese il linguaggio (sui giornali ma anche nei media elettronici) non cerca giustificazioni socio-psicologiche: va dritto al nocciolo religioso e culturale (addirittura, velatamente, di civiltà) della questione. Il racconto del passato difficile del ragazzo trascorre in secondo piano di fronte al presunto indottrinamento qaedista in Francia e, successivamente, in Pakistan e Afghanistan. Il soldato americano ha ucciso (molte più' persone, fra l'altro, prima di essere fermato) perché era stressato, il giovane francese di religione musulmana ha ucciso perché era esaltato. La descrizione, di per sé, non fa una grinza. E' una descrizione ed è una giustificazione plausibile. Ma quanto sbilanciate e quanto di parte entrambe dal punto di vista della metodologia giornalistica, di una epistemologia della conoscenza e della ricerca. Altri pensieri: il ruolo di chi ricerca la verità o, in termini più' modesti, di chi ambisce ad avvicinarsi il più' possibile a una credibile (ma soprattutto onesta) versione della verità (o della REALTA') deve pero' essere diverso. Nel caso del sergente americano non dovremmo escludere a priori il fanatismo, l'indottrinamento, l'esaltazione, la matrice religiosa. Poi, magari, giungeremmo ad escluderla, ma dovrebbero (devono) questa domanda e questo intento di ricerca costituire un punto focale dell'approccio giornalistico. Per il giovane francese di origini arabe vale la stessa cosa: dovremmo chiederci se non siano forse l'assenza documentata di un padre, lo sbandamento sociale, l'esclusione, il senso di insufficienza e di fragilità, oppure un desiderio interpretato (e manipolato da terzi, di fronte a questa predisposizione) in modo inaccettabile di rifiutare lo status quo di un'ingerenza occidentale in alcuni paesi di fede e di cultura musulmane. Per poi magari escludere, anche in questo caso, tale pista. Il fatto che l'americano sia un soldato (che indossi una divisa) lo sottrae a un giudizio che invece giornali e media elettronici riservano, con predilezione, al caso francese. Un civile che imbraccia le armi e spara su altri soldati e su un gruppo di studenti di religione ebraica innocenti e inermi non beneficia di questa flessibilità del pensiero, di questa disponibilità ermeneutica. O attenuante del pensiero. Che è quindi una falsatura del pensiero. Entrambi gli atteggiamenti sono sbagliati: l'attenuante aprioristica e la precipitazione del giudizio semantico (terrorista). Entrambe le azioni sono (per motivi diversi ma interconnessi) devianti. Dovremmo, inoltre, riservare alle vittime la stessa attenzione mediatica, iconografica: a quelle francesi e a quelle afgane. Le immagini di quelle francesi hanno fatto il giro del mondo, quelle afgane non le ha viste (se non per poco tempo) nessuno. E per quanto si siano viste, la nostra (generalizzo) reazione è stata a dir poco blanda. Dovremmo chiederci allora anche questo. Chiederci perché abbiamo (generalizzo, ancora) reagito così, perché siamo mossi da una gerarchia della partecipazione, della commozione, del pathos e non da ultimo dell'ethos. E' pericoloso scrivere quello che scrivo, a undici anni da 9/11 e conto tenuto dello stato non proprio esaltante nel quale versano la stampa e le democrazie occidentali: eppure sono convinto che vada scritto. Perché, vedete, è un po' come se uno scienziato, di fronte a una imminente e importante scoperta, si rifiutasse di entrare nel profondo di quella cellula che gli spianerebbe la strada verso la svolta. Il giornalismo non funziona, non può' funzionare così'. Dobbiamo, noi giornalisti, desiderare lo scavo, la ricerca delle cause, senza preconcetti e soprattutto senza utilizzare un vocabolario dettato dai poteri forti. Un vocabolario che ci fa chiamare pazzi i soldati americani assassini e terroristi i giovani francesi assassini di origine musulmana. Sono assassini entrambi. Su questo non c 'è dubbio e credo non valga più' la pena parlarne, siamo socraticamente d'accordo sulla definizione di base dell'argomento di cui stiamo discutendo. L'utilizzo aprioristico di vocaboli diversi dettati da uno stesso vocabolario ci impedisce pero' di fare il nostro mestiere di giornalisti fino in fondo e soprattutto di capire la realtà. E se non capiamo la realtà non potremo mai cambiarla. Da giornalista io rivendico il diritto, espresso in totale libertà, di capire i motivi per i quali il soldato americano di origini cristiane  ha aperto il fuoco (da solo?) contro 17 civili afgani inermi (musulmani). E rivendico, con altrettanta determinazione, il diritto, espresso in totale libertà, a capire le motivazioni che hanno spinto il giovane francese di origini musulmane a uccidere (musulmani e ebrei). La ricerca della verità è un esercizio di indipendenza. Soltanto se compiuto fino in fondo, senza condizionamenti (o evitando il più possibile i condizionamenti) questo esercizio ci renderà anche davvero liberi. E quindi capaci di cambiare le cose. Di evitare forse che i soldati americani uccidano di nuovo civili afgani (per parlare soltanto di questi). E di evitare forse che un giovane francese di origini musulmane imbracci di nuovo le armi perché ha deciso (o qualcuno gli ha fatto decidere) che così e soltanto così ha un ruolo da svolgere nella vita. Domande scomode, risposte scomode, che portano fuori equilibrio la bilancia dei partiti presi, degli accecamenti del buono contro il cattivo, dello scontro di religioni e di civiltà, di loro (i musulmani) contro di noi (i cristiani), del male che non siamo mai noi a compiere (noi occidentali reagiamo sempre e soltanto alle minacce) e del bene che loro (i musulmani) per un motivo inspiegabile sembrano incapaci di compiere, dell'indottrinamento che esiste soltanto da loro (i musulmani) e mai da noi (i cristiani d'Occidente). Soltanto la sensazione netta della realtà fuori squadra consente di ricostruirla da zero senza preconcetti. Per capirla davvero. E per cambiarla. Se non chiedo troppo. Nel rispetto più partecipato al destino tragico delle vittime e al dolore dei familiari.

Prime conferme (con l'invito, tuttavia, a prendere ancora tutto con cautela)

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LINK dell'AP (Associated Press) via Twitter: Officials: dozens of French Muslims train with the Taliban in Pakistan, raising fears of more attacks in France: http://apne.ws/GNTgs9 -RJJ.
I "servizi segreti", attraverso una messa in guardia dai pericoli, riescono a manipolare la percezione del mondo di ogni singolo individuo. Non devono per forza essere nel torto circa la messa in guardia, ma se fossero davvero "segreti" non lo direbbero, agirebbero. Dirlo, nelle condizioni specifiche, equivale a una ingerenza non giustificabile nella Weltanschauung di tutti noi. Evidentemente per condizionarla. Va ricordato che la Francia si trova in campagna elettorale e che i dubbi sull'affiliazione (informatore, talpa) di Mohammed Merah ai servizi di intelligence francesi non sono stati - per quanto ne sappia io - smentiti. Insomma, nessuno, finora (non le autorità, non la stampa) ci ha spiegato chi era davvero il giovane sparatore di Tolosa. Tutto questo non toglie nulla alla plausibile possibilità che ci possano essere davvero dei francesi musulmani nei campi militari del Waziristan. E d'altra parte non toglie nulla alla plausibile possibilità che questa informazione venga consegnata alle agenzie stampa da "officials" (un po' vago come termine) per sollevare un polverone e pilotare l'opinione pubblica. Il fatto che possano valere entrambe le ipotesi non neutralizza l'indispensabile necessità di capire con indipendenza.   
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Consiglio di lettura

Consiglio per chi ne avesse il tempo e il desiderio la lettura di La tragédie de l'Islam moderne, di Hamadi Redissi. Edizioni Seuil 2011. Serve un po' di conoscenza dei filosofi tedeschi per cogliere tutto fino in fondo, ma non è necessario. Non vanno necessariamente condivise le tesi, ma è interessante entrare nella dinamica del pensiero che innescano. Per capire l'altro.

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LINK sul caso del sergente americano. Sembrerebbe che le autorità americane stiano ostacolando il lavoro di indagine per chiarire la faccenda svolto dall'avvocato dello stesso sergente accusato di aver commesso la strage da solo.

4 commenti:

  1. Quest Post mi sta facendo riflettere parecchio. È un fine settimana nel quale ho poco tempo per i miei pensieri, ma ieri sera, di botto ho pensato alla nostra medicina a 2 velocità: paziente A e paziente B in comune la salute. A Donatella in particolare volevo dire che, ha rivelato delle sue doti artistiche, ma che da sempre leggo con interesse i suoi interventi. Puntuali, opportuni e garbati. Donatella si rivolge a Gianluca con la forma di cortesia. Che meraviglia. Donatella Lei è una persona che sta nel tempo (crea spunti per grandi riflessioni) io non so darle un tempo ma la ringrazio per le sue riflessioni che denotano uno stare nel mondo ora, una grande conoscenza della sensibilità, degli eventi, delle cose. È la vita. Non è da tutti mi creda. A presto. Leila

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  2. Caro Gianluca

    complimenti per quello che scrivi ed anche per come lo scrivi.
    Le " comode verità " che generano le ingiustizie di sempre ...
    Grazie al cielo c'è chi fa le cose a " modo suo " e come dice Fabrizio De André in una sua canzone.." viaggia in direzione ostinata e contraria".

    Lorena

    Peccato che hai rimosso la didascalia alle tue foto. La trovavo bella ed appropriata. Avrai avuto le tue ragioni

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  3. Grazie. Contribuite ad approfondire l'argomento segnalando link ecc. La didascalia è sparita da sola. Sto cercando di ripristinarla.

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  4. Magistrale !

    Caro Gianluca,

    Leggo in quello che ha scritto la professione di fede di un giornalista convinto fino in fondo del senso della sua missione. Non so se ce ne siano molti che hanno il coraggio di mettere nero su bianco la volontà di non accontentarsi della prima risposta data al primo perché, il rifiuto di visioni semplificatrici che conducono a generalità pericolose e che negono la comprensione della realtà, come il rifiuto di schieramenti automatici o dettati, l’intenzione dichiarata di indagare, scavare per avvicinarsi alla verità (scomoda o meno), senza lasciarsi ostacolare dalla sua complessità (come lo dimostra il Suo articolo). Lei ne rivendica giustamente il diritto, ma credo che ne rissenti anche il dovere, perché è così che considera e vive il Suo lavoro.
    Non desidero solo complimentarLo per ciò che ha scritto, voglio incoraggiarLo: vada avanti così perché di giornalisti come Lei ne abbiamo bisogno.
    Allora buon proseguimento sulla Sua via a modo Suo!
    A presto.

    Donatella

    P.S. Un pò sbalordita dal complimento di Leila, ma la ringrazzio sinceramente.

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