Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

lunedì 19 marzo 2012

Contro. Per passione.

(c) 2012 weast productions

Qualche sera fa ero a cena con Robert Fisk, in un ristorante in riva al mare, a Beirut. Abbiamo parlato di molti argomenti. Anche di che cosa significhi essere giornalisti oggi, in un'epoca dove la definizione sembra essere di esclusivo dominio di chi si interessa di calcoli e cifre e molto meno (direi: niente affatto, o come scriverebbe Montanelli: punto) di chi persegue (per natura e per passione) una restituzione della realtà che consenta di aprire gli occhi, di distinguere il farsi della tenebra luce (accettabile anche una distinguibile penombra) o perlomeno di non farsi prendere per fessi. E così' ci siamo trovati a scambiare qualche parere sul soldato (sergente maggiore) americano che in Afghanistan avrebbe, da solo (da solo?), assassinato 16 civili. Robert Fisk mi diceva che nemmeno sotto tortura avrebbe, lui,accettato di credere che fosse l'opera di un pazzo, di uno squilibrato. Di un soldato stressato. La definizione di "terrorista" spetta sempre e soltanto agli altri, ai cattivi. Mai ai "buoni". Se un "buono" ammazza, è sempre perché: o si è sbagliato, o era sottoposto a grave stress psicologico. Robert Fisk stava covando QUESTO articolo. Il pensiero come resistenza significa essere contro: contro le verità cucinate al microonde degli spin doctors, contro l'idea che la realtà sia quella che vedi. L'indole di un curioso sfugge per natura alla comprensione dei contabili.

1 commento:

  1. Caro Gianluca,

    Ieri il giornale Le Temps pubblicava una buona mezza pagina sul caso del sergente maggiore americano con tanto di spegazioni sui suoi antecedenti personali, familiari, finanziari, militari (un cumulo di dieci anni di guerra), medicali (stress post-traumatico), ecc. È stato dunque molto interessante confrontarle a l’articolo di Robert Fisk che avevo letto poco prima e che chiaramente sottolinea che il movente di quell’atto atroce è stato lo spirito di vendetta. Interessante ed interpellante, perché evidenzia una volta ancora la possibilità e la difficoltà per i “lettori comuni” (ne faccio parte) di guardare al di là dell’oppinione magioritaria dalla quale non è facile non farsi condizionare. Qualcuno un giorno ha scritto: “la vérité est une lumière qui brille dans le brouillard sans le dissiper”. E così, l’importanza di pareri fuori dal coro per far sì che la nebbia non sia troppo fitta. E per (cercare di) capire.
    C’è forse un punto sul quale i due articoli possono raggiungersi: quello della follia. Non la follia di un soldato, no, ma quella della guerra dove non regge ne ragione, ne forza mentale, ne disciplina, ne dovere, ne umanità.

    Donatella

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