Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 23 settembre 2011

Vite (da profughi)


(c) 2011 weast
(c) 2011 weast


Due scatti nel campo profughi di Aida a Ramallah (23.9.2011).  Rifugiati palestinesi (lo statuto di rifugiato si tramanda nelle generazioni) in attesa di uno stato.

6 commenti:

  1. Questo giovane uomo sembra disilluso. Nel campo in cui vive vedo abitazioni in cemento e non tende segno appunto di uno "stato di vita" collaudato e non provvisorio. Nella foto sotto invece il ragazzino sembra più fiducioso ... Forse la giovane età gli permette ancora un pó di spensieratezza o forse solo la voglia di
    mettersi in posa e mostrarsi ad un
    mondo diverso dal suo. Per entrambi di certo un momento storico. Ho trovato su internet una cartina sulla quale, per il tramite di triangolini, sono segnalati i campi profughi palestinesi. Un numero impressionante.

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  2. Cara Leila, non aggiungerei nulla alla sua descrizione, cosi' interessante per come unisce sensibilità e lettura analitica di una immagine. Un'immagine ci fornisce una infinità di informazioni. Certo, un "numero impressionante di campi profughi", e sicuramente dovremmo trovare una definizione diversa, sforzarci di farlo, per fare capire, come giustamente sottolinea, che non sono piu' campi con tende ma città. Sono contento che queste due fotografie le abbiano fatto venire voglia di andare a guardare e scoprire le bandierine. Migliaia di persone per ogni bandierina. Ma credo che ci diamo del tu, okay, nel prossimo post.

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  3. Jamil Hilal (sociologo e analista politico) era ospite di Babel, a Bellinzona, e tra le tante idee interessanti di cui ha reso partecipe il pubblico (così come tutti gli altri invitati per un week-end di emozioni fortissime), ce n’è una che ricordo con piacere:
    La Palestina ha chiesto all’ONU di diventare il 194° Paese membro.
    194 è anche il numero legato alla Risoluzione ONU, che prevede il rientro di tutti i palestinesi profughi nel mondo, nella loro Terra.
    E’ un particolare, certo, un numero che si ripete può anche dichiarare qualcosa di fondamentale: essere riconosciuti, rivendicare la propria esistenza.
    Sabrina

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  4. Mi ritrovo a guardare un muro, le storie che racconta, come se potessero avere un futuro.
    Forse non qui, non a Ramallah: in questo luogo si sono già perse e consumate come i gradini della città vecchia.
    Tutte uguali, con gli stessi protagonisti, gli stessi attori e le stesse comparse.
    Invisibili e silenziose, proiettate su di un telo in chiaro-scuro lungo questo muro, sorprendendo il turista o l’europeo dalle buone intenzioni.
    Ma non chi a Ramallah ci è nato. Chi ci ha fatto il callo.
    Sabrina

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  5. In modo interessante alcuni israeliani con cui ho parlato riconoscono un'altra coincidenza: 60 anni fa (qualcosina in più ormai) Israele diventava uno Stato. Attraverso lo stesso organismo che oggi sono i palestinesi a interpellare, per un riconoscimento che era già vincolato alla dichiarazione di indipendenza di Israele.

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  6. Prediligo le parole ma, penso, che ogni tanto anche i numeri abbiano un forte significato. Ecco che allora ho voluto ricercare di quali numeri parliamo e in che termini se diciamo "profughi palestinesi".
    Una massa di persone pari a ca. 4200000.
    Di cui: 420000 in Siria; 400000 in Libano; 961000 (impressionante per i 360 km quadrati) a Gaza; 687000 in Cisgiordania.
    E ancora ca. 60 campi profughi gestiti dall'ONU (59 per l'esattezza). 10 campi in Giordania per 280000 profughi; 10 in Siria per 112000; 12 in Libano per 210000; 8 a Gaza per 471000; 19 in Cisgiordania per 181000. Si stima ca. mezzo milione di profughi non censiti e sparsi in campi "non ufficiali". Non è una semplice contabilità ma numeri che si commentano da soli. Buona giornata. Leila

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